Cosa non si mangia Giovedì Grasso?

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Durante il Medioevo, lesclamazione (carne, addio!) segnava linizio della Quaresima dopo il Giovedì Grasso, ultimo giorno di Carnevale. La Chiesa imponeva lastinenza dalle carni fino al Giovedì Santo.
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Il Giovedì Grasso: un’ultima festa prima del digiuno quaresimale

Il Giovedì Grasso, ultimo giorno di Carnevale, rappresentava un momento di opulenza e sfrenata allegria prima del rigore della Quaresima. Un tempo, la sua gioia si esprimeva non solo nei festeggiamenti, ma anche nella tavola, ricca di delizie proibite per i quarant giorni seguenti. Ma cosa, esattamente, non si mangiava?

La risposta, radicata nella tradizione religiosa medievale, non era semplice e variava a seconda delle zone e delle abitudini locali. L’invito alla rinuncia, però, era chiaro: la Chiesa imponeva l’astinenza dalle carni, un alimento considerato simbolicamente connesso alla gioia di vita, al piacere terreno.

Il divieto non si limitava alla carne di mammiferi, ma spesso comprendeva anche quella di uccelli e pesci. In questo senso, le abitudini culinarie del Giovedì Grasso erano un “saluto” alla possibilità di gustare le carni, che sarebbero state proibite durante i successivi 40 giorni.

La preparazione delle tavole, dunque, si concentrava su alternative vegetali, sulla lavorazione di prodotti lattiero-caseari, e su ingredienti a base di cereali e frutta. Le pietanze elaborate, e probabilmente più significative, sarebbero state consumate in abbondanza proprio quel giorno. La ricchezza culinarie di queste giornate era spesso accompagnata anche da una scelta di vini e bevande alcoliche.

L’astinenza, inoltre, non era semplicemente un’astensione dal gusto, ma una riflessione sul significato simbolico di questo periodo. La Quaresima, con le sue rinunce, era considerata un periodo di purificazione spirituale, un cammino di avvicinamento a Dio attraverso il sacrificio e la mortificazione delle proprie passioni terrene.

Il Giovedì Grasso, quindi, assumeva un’importanza rilevante non solo per l’allegria e le festività, ma anche per la sua funzione di “apice” culinario, un momento di congedo dalla possibilità di godersi la pienezza della tavola prima dell’austera quaresima. Il “carne, addio!” era, in realtà, un’eco di un’epoca in cui le scelte alimentari erano profondamente connesse al panorama religioso e sociale.