Quando mettere i solfiti nel mosto?

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I solfiti, solitamente sotto forma di metabisolfito di potassio, vengono aggiunti al vino in due fasi cruciali: subito dopo larrivo delle uve in cantina per proteggerle dallossidazione e dallazione di microrganismi indesiderati, e nuovamente prima dellimbottigliamento per preservare la stabilità e la freschezza del prodotto finale.

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L’arte della misura: quando e perché aggiungere i solfiti al mosto

La vinificazione è un processo delicato, un balletto tra scienza e natura in cui ogni gesto, ogni scelta, influenza profondamente il risultato finale. Tra le pratiche più dibattute, e spesso fraintese, c’è l’aggiunta di solfiti, generalmente sotto forma di metabisolfito di potassio. Lontano dall’essere un semplice “conservante”, i solfiti svolgono un ruolo complesso e fondamentale nella preservazione della qualità e della stabilità del vino, e il loro impiego richiede una profonda conoscenza delle dinamiche enologiche. La domanda cruciale, dunque, non è solo “se” ma “quando” aggiungere i solfiti al mosto.

L’intervento solforoso si articola in due momenti chiave della vinificazione, ciascuno con obiettivi specifici e dosaggi calibrati con precisione. Il primo, e forse più importante, è subito dopo la raccolta e la pigiatura delle uve, al loro arrivo in cantina. In questa fase delicata, l’uva, appena separata dalla pianta, è particolarmente vulnerabile. L’esposizione all’ossigeno determina un rapido processo di ossidazione che compromette l’integrità aromatica e il profilo sensoriale del futuro vino. Inoltre, la superficie delle uve, ricca di lieviti e batteri, alcuni dei quali indesiderati, rappresenta un terreno fertile per la proliferazione microbica. L’aggiunta di solfiti a questo stadio agisce come potente antiossidante e antisettico, bloccando l’ossidazione e inibendo lo sviluppo di microrganismi che potrebbero causare alterazioni indesiderate, come l’acetificazione o la produzione di composti volatili sgradevoli. Il dosaggio in questa fase è fondamentale e dipende da diversi fattori, tra cui lo stato sanitario delle uve, il tipo di vino desiderato e le condizioni ambientali. Un enologo esperto calibrerà la quantità di metabisolfito di potassio in base a un’attenta valutazione di questi parametri.

La seconda fase cruciale di aggiunta dei solfiti si verifica prima dell’imbottigliamento. A questo punto, la fermentazione alcolica è completata e il vino ha raggiunto una certa stabilità. Tuttavia, il rischio di ossidazione e di sviluppo di microrganismi, pur ridotto, permane. L’imbottigliamento, infatti, sigilla il vino in un ambiente chiuso e, se non adeguatamente protetto, può consentire lo sviluppo di batteri lattici o acetici, compromettendo la sua conservazione nel tempo. Inoltre, una corretta solfitazione pre-imbottigliamento contribuisce a preservare la freschezza, la vivacità e la complessità aromatica del vino, proteggendolo dal deterioramento e garantendone la longevità. Anche in questa fase, la scelta del dosaggio richiede competenza e attenzione, bilanciando la necessità di garantire la stabilità microbiologica con la volontà di mantenere un livello di solfiti il più basso possibile, rispettando le normative e le sensibilità del consumatore.

In conclusione, l’aggiunta di solfiti al mosto non è una pratica arbitraria, ma un intervento tecnico preciso e necessario per garantire la qualità e la longevità del vino. La scelta del “quando” è determinante, e solo una profonda conoscenza delle dinamiche enologiche permette di ottimizzare l’uso dei solfiti, ottenendo un prodotto di eccellente qualità, nel rispetto delle tradizioni e delle più moderne tecniche di vinificazione.