Perché il pesce non viene considerato carne?

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La definizione di carne si limita agli animali omeotermi, ovvero quelli in grado di mantenere costante la temperatura corporea. Questa caratteristica esclude i pesci e tutti i prodotti ittici dal campo semantico e nutrizionale del termine carne, indipendentemente dalla loro commestibilità o composizione.

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L’Equivoco Nutrizionale: Perché il Pesce Non È Considerato Carne, Anche se lo Mangiamo

Quante volte ci siamo trovati di fronte a un dilemma culinario? Organizziamo una grigliata e la domanda sorge spontanea: “Ma il salmone si può mettere?”. Oppure, durante la Quaresima, la risposta classica: “Sì, il venerdì di magro si mangia pesce, perché non è carne!”. Ma da dove nasce questa distinzione, apparentemente arbitraria, tra il pesce e la carne, quando entrambi provengono da animali e ci forniscono nutrimento?

La risposta non si trova tanto nel sapore o nella preparazione culinaria, quanto piuttosto in una sottile, ma fondamentale, distinzione biologica: la termoregolazione. La carne, nella sua definizione più stretta e tradizionale, si riferisce alla massa muscolare di animali omeotermi, ovvero quelli in grado di mantenere una temperatura corporea interna costante, indipendentemente dalle condizioni ambientali esterne. Pensiamo ai mammiferi come bovini, suini, ovini, ma anche agli uccelli, come polli e tacchini. Questi animali, attraverso complessi meccanismi fisiologici, riescono a conservare una temperatura interna ottimale per il funzionamento dei loro organi e processi metabolici.

Il pesce, al contrario, è un animale eterotermo o poichilotermo (a seconda della specie e del grado di controllo termico che riesce ad esercitare). La sua temperatura corporea è influenzata, e spesso determinata, dalla temperatura dell’acqua in cui vive. Anche se alcune specie, come il tonno, sono in grado di generare un certo calore metabolico, non riescono a mantenere una temperatura interna stabilmente diversa da quella dell’ambiente circostante.

È proprio questa incapacità di regolare autonomamente la temperatura che esclude il pesce dalla categoria “carne”, secondo la definizione tradizionale. Questa distinzione, apparentemente accademica, ha importanti implicazioni non solo linguistiche, ma anche culturali e nutrizionali.

Dal punto di vista culturale, la separazione tra carne e pesce ha radici antiche, spesso legate a precetti religiosi e a tradizioni popolari. La già citata “magrezza” del venerdì, per esempio, si basa proprio sull’astensione dalla carne “calda”, associata a ricchezza e lusso, a favore del pesce, considerato un alimento più umile e accessibile.

Sul piano nutrizionale, poi, la distinzione, sebbene radicata in una differenza biologica, può essere fuorviante. Sia la carne che il pesce sono ottime fonti di proteine, vitamine e minerali. Tuttavia, presentano profili nutrizionali differenti. Il pesce, ad esempio, è particolarmente ricco di acidi grassi omega-3, benefici per la salute cardiovascolare, mentre alcune carni rosse sono più ricche di ferro.

In conclusione, l’esclusione del pesce dalla categoria “carne” non è un giudizio di valore sulla sua commestibilità o sul suo valore nutritivo. Si tratta piuttosto di una distinzione basata su una caratteristica biologica fondamentale: la termoregolazione. Comprendere questa differenza ci aiuta a navigare meglio nel complesso mondo dell’alimentazione, apprezzando la varietà e la ricchezza dei diversi cibi che la natura ci offre, senza cadere in semplificazioni eccessive o, peggio, in equivoci nutrizionali. Quindi, la prossima volta che vi chiederete se il salmone è “carne”, potrete rispondere con cognizione di causa: no, non lo è, ma questo non lo rende meno prezioso per la nostra dieta.

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