Qual è il fungo più velenoso d'Italia?

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LAmanita phalloides, conosciuta anche come Amanita falloide o Tignosa verdognola, è un fungo estremamente velenoso appartenente alla famiglia delle Amanitaceae. La sua tossicità è dovuta alla presenza di alfa-amanitina, una sostanza che danneggia il fegato e i reni.
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La silente minaccia nel sottobosco: l’Amanita phalloides, il fungo più pericoloso d’Italia

L’autunno, stagione di colori caldi e profumi intensi, cela tra i suoi doni anche un pericolo silenzioso e mortale: l’ Amanita phalloides, conosciuta anche come Amanita falloide o, più colloquialmente, Tignosa verdognola. Questo fungo, apparentemente innocuo nella sua elegante semplicità, è senza dubbio il più velenoso presente nel nostro paese, responsabile di numerosi casi di avvelenamento, spesso fatali.

La sua pericolosità non risiede solo nell’elevata concentrazione di tossine, ma anche nella sua sorprendente somiglianza con alcune specie commestibili, come ad esempio l’Agaricus campestris (prataiolo) o alcune specie di chiodini. Questa mimetica capacità rende l’Amanita falloide un nemico insidioso, capace di confondere anche i raccoglitori di funghi più esperti. La sua morfologia, infatti, varia a seconda dell’età e del clima, presentando un cappello di colore variabile dal verde olivastro al bianco-giallastro, con lamelle bianche e un gambo slanciato, spesso dotato di un anello membranoso e di una volva alla base.

La vera arma letale dell’Amanita falloides è l’alfa-amanitina, una potente tossina appartenente alla classe delle amatoxine. A differenza di altre tossine fungine che causano sintomi immediati, l’alfa-amanitina agisce in modo insidioso. Dopo un periodo di latenza che può variare dalle 6 alle 24 ore, si manifestano i primi sintomi: nausea, vomito, diarrea e dolori addominali. Questa fase iniziale, spesso scambiata per una semplice gastroenterite, può trarre in inganno, ma è solo l’anticamera di una fase ben più grave.

Successivamente, si verifica un apparente miglioramento, che tuttavia è solo una tregua ingannevole. L’alfa-amanitina, infatti, ha già iniziato il suo devastante lavoro a livello epatico e renale, causando una necrosi cellulare irreversibile che può portare a insufficienza multiorgano e, nei casi più gravi, alla morte. La terapia, che prevede il ricorso a specifiche contromisure quali la somministrazione di carbone attivo, lavanda gastrica e, in alcuni casi, il trapianto di fegato, è efficace solo se attuata tempestivamente.

La prevenzione resta dunque l’unica arma realmente efficace contro l’Amanita phalloides. Raccolta responsabile e attenta identificazione del fungo, preferibilmente con l’ausilio di esperti micologi, sono fondamentali per evitare tragiche conseguenze. Ricordare che il dubbio è sempre un campanello d’allarme: in caso di incertezza, è meglio evitare il consumo di qualsiasi fungo. La bellezza del bosco non deve essere pagata con la vita.