Quanto si guadagna con abiti usati?
L’abito fa il monaco, ma non sempre il milionario: la verità economica del mercato del vintage
Il mercato dell’usato, un tempo sinonimo di ripiego, si sta trasformando in un settore dinamico e sempre più attenzionato. Ma quanto rende davvero la vendita di abiti usati? La risposta, a dispetto di una certa romanticizzazione del “vintage chic” e della sostenibilità, è meno entusiasmante di quanto si possa immaginare. Secondo recenti analisi, il guadagno medio annuo generato da questa attività in Italia si attesta intorno agli 850 euro. Una cifra che, pur non essendo trascurabile, contribuisce significativamente al bilancio familiare solo per una minoranza, un esiguo 17% degli italiani che si dedicano a questa attività.
La realtà, dunque, si distacca sensibilmente dall’immagine spesso idealizzata. Mentre influencer e marketplace online presentano un mondo luccicante di capi di lusso rivenduti a prezzi elevati, la maggior parte dei venditori si confronta con una dura realtà fatta di margini di profitto ridotti e di un mercato competitivo. La concorrenza è infatti agguerrita, tra privati che svuotano armadi e negozi specializzati che operano con una struttura più organizzata e quindi con un potere contrattuale superiore.
Gli 850 euro di guadagno medio annuo rappresentano una fotografia complessiva che nasconde una grande variabilità. Il reddito effettivo dipende da una moltitudine di fattori, tra cui: la qualità dei capi venduti (marchi prestigiosi, pezzi unici o abbigliamento generico), la piattaforma di vendita utilizzata (dai mercatini locali a piattaforme online come Vinted o eBay, ognuna con le proprie commissioni), la capacità di marketing e di negoziazione del venditore, e infine, la quantità di tempo dedicato all’attività. Chi riesce a trasformare la passione per il vintage in un’attività professionale strutturata, investendo in fotografia di qualità, descrizioni accurate e una gestione efficiente delle spedizioni, può ottenere risultati migliori. Ma per la stragrande maggioranza, la vendita di abiti usati rimane un’attività integrativa, più che una fonte di sostentamento principale.
Questa fotografia economica, tuttavia, non deve scoraggiare chi si avvicina al mercato del vintage per motivazioni etiche e di sostenibilità. L’impatto positivo sull’ambiente, la riduzione dei rifiuti tessili e la possibilità di dare nuova vita a capi di abbigliamento, rappresentano valori inestimabili che vanno ben oltre il semplice guadagno monetario. La vendita di abiti usati, quindi, non deve essere valutata solo attraverso la lente del profitto, ma anche attraverso la lente del suo contributo alla circolarità del consumo e alla riduzione dell’impatto ambientale dell’industria della moda. In questo senso, gli 850 euro diventano solo una parte del bilancio, ma non certo la sua parte più importante.
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