Perché si dice pasticciere?
Il termine pasticciere, nellOttocento, indicava il capocomico di una compagnia teatrale specializzata in pasticci, ovvero opere teatrali composte da elementi eterogenei e spesso improvvisati. La parola rifletteva la natura assemblata e poco ortodossa di queste produzioni.
Dal palcoscenico alla pasticceria: l’inusuale origine del termine “pasticciere”
La parola “pasticciere”, oggi immediatamente associata all’arte della preparazione di dolci e lievitati, cela un’origine sorprendentemente teatrale, che rivela un’affascinante connessione tra il mondo culinario e quello dello spettacolo ottocentesco. Lontano dalle delicate creme e dalle fragranti sfoglie, il termine, nei suoi albori, indicava una figura tutt’altro che legata alla dolcezza: il capocomico di una compagnia teatrale specializzata in “pasticci”.
Ma cosa si intendeva per “pasticcio” nel contesto teatrale dell’Ottocento? Non si trattava di un’opera mal eseguita, come potrebbe suggerire l’accezione moderna del termine. Piuttosto, si riferiva a spettacoli caratterizzati da un’estrema eterogeneità di elementi: un assemblaggio di scene, numeri, e personaggi spesso privi di una trama organica e coesa. Questi “pasticci” teatrali si affidavano molto all’improvvisazione, a gag comiche spesso banali e ripetitive, e a un’elevata dose di stravaganza. Erano, in sostanza, spettacoli pensati per divertire con una formula facile e poco impegnativa, un intrattenimento leggero e di consumo.
Il “pasticciere”, dunque, era colui che dirigeva e orchestrava questo caleidoscopio di elementi teatrali, un regista-capocomico che, con abilità non priva di una certa dose di cinismo, confezionava spettacoli assemblati, quasi “cuciti” insieme a partire da frammenti disparati. La sua maestria risiedeva nella capacità di amalgamare, o meglio, di “mescolare” ingredienti eterogenei per creare un prodotto finale, seppur disomogeneo, in grado di catturare l’attenzione del pubblico.
La metamorfosi semantica del termine, dal teatro alla pasticceria, è un esempio affascinante di evoluzione linguistica. La similitudine tra l’arte del pasticciere teatrale, che assemblava elementi diversi per creare uno spettacolo, e quella del pasticciere culinario, che combina ingredienti per creare un dolce, è evidente. Entrambi “assemblano”, “compongono”, “mescolano” con perizia elementi diversi per ottenere un risultato finale. La parola ha mantenuto l’idea di una composizione, di un’abile manipolazione di ingredienti, ma ha spostato il campo d’azione dal palcoscenico alla cucina, portando con sé una traccia della sua vivace e inaspettata origine teatrale.
Oggi, quando chiamiamo “pasticciere” un maestro dell’arte dolciaria, evocando immagini di creatività, precisione e maestria, ricordiamo inconsapevolmente il suo antenato ottocentesco, il regista di “pasticci” teatrali, un’ombra del passato che contribuisce a dare al termine una sfumatura ulteriore, ricca di storia e di un’ironia sottile e deliziosa.
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