Cosa succede se la partita IVA è inattiva?
Una partita IVA inattiva indica unattività cessata ma non cancellata dal registro delle imprese e dallanagrafe tributaria. Pur non generando reddito, comporta adempimenti fiscali e a volte contributivi, a seconda del regime scelto.
Partita IVA inattiva: un sonno apparentemente tranquillo, ma con costi nascosti
La partita IVA inattiva rappresenta uno stato intermedio, un limbo fiscale per chi ha cessato l’attività ma non ha ancora provveduto alla cancellazione definitiva dal registro delle imprese e dall’anagrafe tributaria. Un’inattività che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non equivale all’esonero da ogni obbligo. Anzi, comporta adempimenti e costi, a volte anche significativi, che variano a seconda del regime fiscale adottato e della forma giuridica dell’impresa.
L’inattività, infatti, non significa l’estinzione del rapporto con il Fisco. Mentre è vero che non vengono generati redditi e, di conseguenza, non si è tenuti al pagamento delle imposte sui redditi (IRPEF o IRES), persistono altri oneri che è fondamentale conoscere per evitare spiacevoli sorprese.
Innanzitutto, la dichiarazione dei redditi rimane obbligatoria, anche se a zero. Questa va presentata annualmente, rispettando le scadenze previste, e serve a certificare l’assenza di ricavi. Un adempimento apparentemente semplice, ma che richiede comunque l’assistenza di un commercialista, con conseguenti costi di consulenza.
Oltre alla dichiarazione dei redditi, a seconda del regime fiscale scelto al momento dell’apertura della partita IVA, potrebbero persistere altri obblighi. Ad esempio, chi ha optato per il regime forfettario, pur non dovendo versare l’IVA, deve comunque presentare la dichiarazione IVA annuale. Chi, invece, rientra nel regime semplificato o ordinario, potrebbe dover continuare a versare l’IVA dovuta per operazioni effettuate prima dell’inattività, o gestire eventuali crediti IVA.
Un altro aspetto cruciale riguarda i contributi previdenziali. L’inattività della partita IVA non implica automaticamente l’esonero dal pagamento dei contributi INPS. L’obbligo contributivo permane se l’iscrizione alla gestione previdenziale obbligatoria non viene cancellata contestualmente alla cessazione dell’attività. Questo vale, ad esempio, per gli artigiani e i commercianti iscritti alle rispettive gestioni INPS.
In definitiva, mantenere una partita IVA inattiva può comportare costi non indifferenti, tra dichiarazioni, consulenze e possibili contributi previdenziali. Pertanto, se si è certi di non voler riprendere l’attività, è consigliabile procedere alla chiusura definitiva della partita IVA, evitando così oneri inutili e semplificando la propria posizione fiscale. La cancellazione, seppur richieda una procedura specifica, rappresenta la soluzione più vantaggiosa nel lungo periodo, garantendo la completa liberazione da ogni obbligo fiscale e contributivo legato alla partita IVA. Un’attenta valutazione dei costi e dei benefici è quindi fondamentale per scegliere la strada più conveniente e evitare di rimanere intrappolati in un limbo fiscale che può rivelarsi più oneroso del previsto.
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