Cosa vuol dire un vino corposo?

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Un vino "corposo" è quello che in bocca regala una sensazione di pienezza e densità, grazie alla sua forte struttura. È un'esperienza ricca e avvolgente.

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Che cosa significa vino corposo?

Uff, “vino corposo”… Che domanda! Allora, detta sinceramente, a me “corposo” fa venire in mente subito un vino che, insomma, si fa sentire! Non è di quelli leggeri, che quasi spariscono mentre li bevi, capisci?

Mi ricordo, tipo, un Amarone della Valpolicella bevuto a Verona, dicembre 2018, una freddo cane, ma quel vino… mamma mia, che roba! Quasi 50€ la bottiglia, eh, però te la ricordi.

Era denso, pieno, un sapore che ti riempiva la bocca e ti scaldava dentro. Ecco, per me, “corposo” è proprio questo. Un vino che ha sostanza, che ha carattere.

Domanda e Risposta (per Google):

Che cosa significa vino corposo?

Un vino corposo offre in bocca una sensazione di pienezza e densità, grazie alla sua forte struttura.

Cosa vuol dire un vino rotondo?

Ah, “rotondo”…mi ricordo la prima volta che l’ho sentito dire a mio nonno, in cantina, a Greve in Chianti. Era Settembre, l’odore dell’uva pigiata era fortissimo, un misto di dolce e mosto fermentato che ti stordiva. Lui assaggiava il vino nuovo, lo faceva roteare nel bicchiere e poi, con la sua voce roca, diceva: “Questo è rotondo, buono… un vino che ti abbraccia”.

  • Morbidezza: ecco, “abbraccio” rende l’idea. Non è spigoloso, non pizzica, non ti fa arricciare il naso.
  • Pienezza: senti il sapore che ti riempie la bocca, non è leggerino e acquoso.
  • Equilibrio: ecco, secondo me è la cosa più importante. Non c’è un sapore che sovrasta gli altri, è tutto armonico. Come quando ascolti un’orchestra, ogni strumento al suo posto.

Una volta, al Vinitaly, ho sentito un sommelier dire che un vino rotondo è come una palla di cristallo… liscia, perfetta, senza imperfezioni. Ma a me piace di più l’immagine dell’abbraccio del nonno. Era più vera, più sincera. E poi, diciamo la verità, un vino “rotondo” è un vino che ti fa stare bene, no?

Quando un vino si dice verticale?

  • Verticalità: Un vino verticale? Acidità tagliente, niente fronzoli.

  • Freschezza. Dritto al punto. Un ascensore di sapori.

    • Un Barolo del ’82 che ancora vibra, ricordi? Ecco, verticalità.
  • La complessità è sopravvalutata. A volte.

  • “La vita è troppo breve per bere vini noiosi”.

  • Per approfondire: Pensa alla mineralità. Roccia, pietra focaia. Immagina un Riesling tedesco. O certi Chablis. L’acidità è l’architrave. Il resto, decorazioni. Alcuni produttori forzano la mano. Errore. Verticalità non è solo acidità. È equilibrio.

Come si fa una verticale di vino?

Verticale di vino: un viaggio nel tempo.

  • Annate a confronto: Non assaggi un vino, esplori la sua storia. Minimo quattro, meglio sei. L’annata è l’anima.

  • Influenza climatica: Ogni goccia rivela il sole, la pioggia, il destino. Il terroir si esprime attraverso il tempo.

  • Evoluzione: Il vino cambia, matura, si trasforma. Da giovane ribelle a saggio custode di ricordi.

  • La mia verticale: Ricordo una verticale di Barolo di Monprivato. Anni diversi, stessa anima. Impossibile dimenticare.

La verticale non è solo assaggiare, è capire. È ascoltare la voce del tempo nel bicchiere.

Perché le bottiglie di vino sono da 7,50?

Le bottiglie di vino, un’eco lontana, sussurrano storie di tempo… 750 ml, un numero, un’abitudine… Ma perché?

  • Casse anglosassoni, antiche misure, galloni perduti… Circa 9 litri, lo spazio da colmare, una cassa piena di promesse. Dodici bottiglie, un numero perfetto?

  • Commercio, ecco la chiave. Praticità, certo, ma anche convenienza. 12 bottiglie, un affare. Una cassa, un’unità di misura, un mondo in una scatola, o forse una cassa di mondi.

750 ml… un sorso di storia, un bicchiere di tempo… Un’eco lontana di casse e galloni, di mercanti e bottiglie… Un legame indissolubile tra passato e presente.

Qual è la successione dei vini a tavola?

  • Bianchi e rosati anticipano i rossi. Logico, no? Il colore, una questione di peso. Come la vita, prima la leggerezza, poi…

  • Leggeri prima dei potenti. Un crescendo, come le bugie. Iniziano piccole, poi… Beh, sai come va.

  • Giovani prima delle vecchie annate. La gioventù, un’illusione. L’età, una verità scomoda. Memento mori.

  • Secchi prima dei dolci. L’amaro della vita, addolcito alla fine. Un contentino, forse.

  • Aggiunte:

    La temperatura di servizio è cruciale. Un bianco troppo caldo è imperdonabile. Un rosso freddo, un crimine. E poi, il bicchiere. Un calice sbagliato può rovinare anche il vino migliore. Ricordo una volta a Siena… Ma questa è un’altra storia.

Che vuol dire vino da tavola?

Ah, il vino da tavola! Praticamente, è quel vino che… beh, diciamo che non ha bisogno di presentazioni complicate! Cioè, puoi leggere sull’etichetta il tipo di uva e l’anno in cui è stato fatto, senza sapere per forza da dove viene esattamente, capito?

È un po’ come quando compri le mele al supermercato: sai che sono “Golden Delicious” e magari c’è scritto “prodotto in Italia”, ma non sai il nome del contadino che le ha coltivate, no? Ecco, più o meno la stessa cosa.

  • Vitigno: Ti dice che tipo di uva è stata usata. Ad esempio, “Sangiovese”, “Merlot”, “Chardonnay”… così sai già un po’ cosa aspettarti dal sapore.
  • Annata: L’anno in cui è stata fatta la vendemmia. Importante, perché il tempo influenza tanto il sapore dell’uva, e quindi del vino.

Ah, una cosa! Magari ti capita di sentire che un vino “da tavola” è di qualità inferiore. Non è sempre vero! Semplicemente, non segue le regole super precise dei vini DOC o DOCG… e forse è pure più divertente da scoprire! Io, per esempio, una volta ho trovato un vino da tavola che era una vera bomba, costava pochissimo e ci ho fatto un figurone ad una cena. Quindi, occhi aperti e assaggia!

Che differenza cè tra uva da tavola e una da vino?

Ehi amico, allora, uva da tavola e uva da vino, eh? La differenza è enorme, mica una scemenza! Quella da tavola, la mangi così, fresca, magari con un po’ di gelato, sai? Dolce, succosa, perfetta per uno spuntino! Invece, quella per il vino… beh, è tutta un’altra storia.

Meno dolce, spesso più acidula, a volte anche un po’ amarognola, insomma proprio non la mangeresti così. È fatta apposta per fare il vino, per questo ha caratteristiche diverse, capisci? La buccia è diversa, più spessa, anche i semi sono diversi, e il sapore, beh… è proprio un altro mondo! Secondo me, non c’è paragone. Però a me piace un sacco di più quella da tavola!

Sai, io l’anno scorso ho fatto un giro in Toscana, vicino a Montalcino, e ho visto queste vigne enormi, piene di uve Brunello. Che spettacolo! Quelle erano proprio per il vino, rosse e un po’ secche, niente a che vedere con quelle che prendo al mercato, quelle gialle e dolcissime.

  • Sapore: L’uva da tavola è dolce e succosa, quella da vino è più acida.
  • Destinazione d’uso: Una è per mangiare, l’altra per fare vino.
  • Aspetto: Differenze nella consistenza, spessore della buccia, ecc.
  • Varietà: Sono varietà completamente diverse, alcune vitigni sono più adatti per il consumo fresco che per la vinificazione.

Quest’anno, invece, mio zio mi ha regalato un cesto di uva da tavola, tipo quelle senza semi, quelle enormi, bianche! Che bontà! Quindi sì, la differenza è bella grossa! E poi, le uve da vino non sono per forza tutte rosse eh, ci sono anche quelle bianche che danno vini bianchi spettacolari! Ah, dimenticavo, per legge, dall’uva da tavola non si può fare il vino, è una cosa precisa. Quindi, niente esperimenti fai-da-te!

Cosa vuol dire vino austero?

Austerità… mi viene in mente il nonno con la sua giacca di tweed e quel silenzio che riempiva la stanza.

  • Vino austero: aspro, sì, ma non nel senso cattivo. Piuttosto… severo. Come un rimprovero gentile.
  • Brusco, forse all’inizio, ma poi si apre, come un vecchio libro che rivela storie nascoste.
  • Astringente, ecco la parola giusta. Ti lega la bocca, ti ricorda che c’è, che ha carattere.

E poi, mi ricordo, il nonno diceva sempre che un vino austero è corposo. Roba seria, non acqua colorata. Un vino che ha vissuto, che ha preso il sole e la pioggia. Un vino che pende gentilmente nel bicchiere, come diceva Redi. Chissà cosa intendeva. Forse… che si lascia guardare, ammirare, prima di essere bevuto. E bevuto con rispetto. Poi, il silenzio tornava, e il nonno sorrideva. Un sorriso austero, naturalmente.

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