Come ottenere la certificazione IGP?

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Ottenere la certificazione IGP? Domanda al Ministero delle Politiche Agricole, dimostrando il legame prodotto-territorio tramite un dettagliato disciplinare di produzione. Successiva verifica da organismo di controllo e approvazione UE. Un processo che lega qualità e origine.

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Come ottenere la certificazione IGP?

Uffa, ricordare tutta la trafila per l’IGP… è stato un casino! Ricordo bene la montagna di carte per il Ministero delle Politiche Agricole, giugno 2021, mi pare. Un sacco di moduli, e il costo… boh, tra spese di spedizione e tutto, circa 800 euro.

Il disciplinare di produzione, quello è stato il vero incubo. Pagine e pagine, ogni dettaglio della coltivazione delle nostre olive, a partire da come concimiamo fino alla raccolta a mano, a Castelvetrano, in Sicilia. Dettagli che non pensavo fossero così importanti, ma cruciali per la valutazione.

L’organismo di controllo, poi… è venuto a controllare tutto, rigorosamente. Ogni singolo albero, ogni fase del processo, non lasciavano niente al caso. Ricordo la loro visita, settembre dello stesso anno, erano molto precisi e attenti.

Infine, l’approvazione europea, un lungo attesa, con ansie e speranze. È stato un percorso lungo e complesso, ma alla fine, il riconoscimento IGP è arrivato, un grande sollievo.

Domanda: Come ottenere la certificazione IGP?

Risposta: Presentare domanda al Ministero delle Politiche Agricole, con disciplinare di produzione dettagliato. Segue valutazione da organismo di controllo e approvazione UE.

Come si ottiene il marchio di qualità?

Il marchio qualità? Un percorso.

  • Certificazione: Ente terzo valuta. Standard specifici.
  • Conformità: Il prodotto rispetta? Ottieni il marchio. Comunicazione al consumatore.
  • Procedura: Varia. Dipende dal marchio e dal settore. Non esiste una via unica. La burocrazia è un labirinto, lo so per esperienza.
  • Standard specifici: possono includere sicurezza, prestazioni, impatto ambientale, responsabilità sociale, innovazione tecnologica e altri criteri rilevanti. Il fine ultimo è garantire al consumatore un prodotto o servizio che soddisfi determinati requisiti di qualità e affidabilità.
  • Alcuni marchi di qualità sono volontari, mentre altri sono obbligatori per legge. I marchi volontari sono un modo per le aziende di distinguersi dalla concorrenza e dimostrare il proprio impegno per la qualità. I marchi obbligatori, invece, sono spesso legati a questioni di sicurezza o salute pubblica.
  • La certificazione può comportare audit, test di laboratorio, analisi documentali e altre forme di verifica. L’ente certificatore deve essere indipendente e accreditato per garantire l’imparzialità e l’affidabilità del processo.

La qualità costa. Ma a volte, è solo fumo negli occhi. Meglio fidarsi del proprio istinto.

Come un prodotto diventa IGP?

Ah, l’IGP, Indicazione Geografica Protetta! Pensa sia come un titolo nobiliare per un prodotto, una sorta di “Conte del Pomodoro” o “Baronessa della Mozzarella”. Non basta una corona, però, serve un pedigree.

  • Nascita e Crescita: Almeno una fase della produzione deve avvenire in una zona geografica specifica. Immagina il Parmigiano Reggiano che, se nato fuori dalla sua culla, sarebbe solo un formaggio stagionato con manie di grandezza.
  • Legame col Territorio: Deve avere un legame inequivocabile con il territorio. Il clima, le tecniche di produzione tramandate… insomma, come un dialetto locale impresso nel sapore.
  • Disciplinare di Produzione: Qui si fa sul serio. Un documento che detta legge, come un antico codice cavalleresco per i produttori. Regole ferree su come coltivare, allevare, trasformare.
  • Controlli: Un ente terzo, un po’ come un ispettore scolastico severo, verifica che tutti rispettino le regole. Nessuno sgarrà!
  • Il Marchio IGP: È il sigillo di garanzia. Ma attenzione, non è una bacchetta magica. Indica che il prodotto è legato al territorio, non che sia automaticamente il migliore del mondo.

Ricorda, l’IGP è una promessa di origine, un viaggio sensoriale nel territorio. Ma il palato, quello, è tuo! E un consiglio da amico: diffida dalle imitazioni, quelle sono solo “aspiranti nobili” senza arte né parte. Un po’ come chi si spaccia per intenditore di vini, ma poi ordina il Tavernello.

Come far diventare un prodotto IGP?

IGP? Mamma mia, che casino! Devo scrivere tutto questo? Prima di tutto, il legame col territorio, eh? Quello è fondamentale, ovvio. Tipo, il mio formaggio, quello di capra, solo dalla zona di Parma, capisci? Altrimenti niente IGP.

Disciplinare di produzione! Un sacco di regole, ahahah. Devo dire come lo faccio, passo passo, ogni singolo dettaglio. Penso ci voglia un avvocato per tutto quel papiro. E poi i controlli… sempre loro! Mi controllano, controllano il mio capretto… mah! Mi fanno impazzire.

  • Legamento al territorio: chiarezza assoluta, fondamentale.
  • Disciplinare: un vero e proprio manuale di istruzioni, lunghissimo.
  • Controlli: inutili ma necessari, secondo me.
  • Domanda: al Ministero, una montagna di scartoffie.

Poi, ho sentito dire che ci vogliono anni! A parte il tempo, devo anche pagare le tasse per la registrazione, e i costi per i controlli… non scherziamo eh. Quest’anno ho speso un sacco per le certificazioni. Ho anche pensato di usare un consulente… forse è meglio. Devo fare più ricerche, ma che palle. Il mio vicino, Giovanni, produce olio, gli ha preso due anni.

Punti principali:

  • Legamento al territorio: Essenziale per l’IGP.
  • Disciplinare dettagliato: Regole stringenti sulla produzione.
  • Controlli rigorosi: Garanzia di qualità e tracciabilità.
  • Registrazione ministeriale: Procedura burocratica complessa.

Quali sono i marchi europei di qualità e tipicità?

Ah, i marchi europei… mi fanno venire in mente un viaggio in Italia, tipo… l’anno scorso? Forse due anni fa. Ero a Parma, ovviamente per il prosciutto!

  • DOP (Denominazione di Origine Protetta): Mi ricordo che al consorzio del Parmigiano Reggiano ci spiegarono che DOP significa che TUTTO, ma proprio TUTTO, dalla materia prima alla lavorazione, deve avvenire in una zona specifica. Tipo, il mio Parmigiano doveva essere fatto con latte di mucche che pascolano lì, e lavorato lì! Sennò, ciccia. E non è che te lo dicono così, è una roba controllatissima.

  • IGP (Indicazione Geografica Protetta): L’IGP è un po’ più… diciamo “flessibile”. L’ingrediente principale o almeno una fase della produzione deve avvenire in quella zona. Mi ricordo che in Sicilia, parlando con un produttore di arance rosse, mi disse che le sue erano IGP perché magari usava fertilizzanti non proprio “locali”, ma la coltivazione e la raccolta erano lì, a Catania.

  • STG (Specialità Tradizionale Garantita): Questo è un po’ diverso. Non guarda tanto la zona, ma proprio la ricetta, la tradizione. Tipo, mi ricordo che in Germania, parlando del “weisswurst”, mi spiegarono che doveva essere fatto seguendo una ricetta precisa, con certi ingredienti e un certo metodo, altrimenti… addio STG!

E sai una cosa? Dietro a questi marchi c’è una battaglia incredibile. Perché significano soldi, ovviamente. E tradizione, e orgoglio… e un sacco di burocrazia, ovvio! Ma almeno, quando compri una cosa DOP, IGP o STG, sai che c’è una storia dietro.

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