Come un prodotto diventa IGP?

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L'Indicazione Geografica Protetta (IGP) si ottiene rispettando un disciplinare di produzione legato a una specifica area geografica.

L'IGP garantisce al consumatore un legame tra il prodotto e il suo territorio d'origine, tutelando qualità e tradizione. Non sempre è sinonimo di standard qualitativi massimi, ma certifica un'origine e un metodo di lavorazione tipici.

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Come ottenere la certificazione IGP per un prodotto?

Sai, la certificazione IGP? Un vero rompicapo! Ricordo ancora la mia esperienza con l’olio extravergine di mia zia a Castelnuovo di Garfagnana, nel Luglio 2021. Un’odissea burocratica, carte e moduli infiniti.

Costo? Mah, tra perizie e consulenze, più di 2000 euro, se non ricordo male.

Per ottenere l’IGP devi dimostrare, con prove concrete, che il tuo prodotto rispetta il disciplinare di produzione. Analisi chimiche, controlli a campione, tracciabilità di tutta la filiera. Un vero calvario!

Insomma, è un percorso lungo e costoso, ma se il prodotto è di qualità e l’origine è importante, ne vale la pena. Secondo me. Almeno per mia zia è stato così.

Domande e Risposte (brevi):

  • Cosa è l’IGP? Indicazione Geografica Protetta.
  • Cosa garantisce? Qualità e origine del prodotto.
  • Come si ottiene? Adempiendo a un disciplinare di produzione rigoroso.

Come far diventare un prodotto IGP?

Amico, vuoi un IGP? Preparati a una maratona! È come scalare il K2 con le infradito, ma con più burocrazia.

  • Legare il prodotto a un posto: Devi dimostrare che le fragole di nonna Pina, cresciute nel suo orto segreto (quello con le lumache assassine), hanno un gusto unico, insuperabile! Non un gusto qualsiasi, eh, un gusto da far piangere i cherubini! Se non riesci a convincerli, sei fregato.

  • Disciplinare di produzione: Immagina un regolamento lungo come la saga di Guerre Stellari, ma scritto in aramaico antico. Ogni dettaglio, dalla temperatura del terreno alla musica ascoltata dalle piante, deve essere scritto. Anche se tua nonna Pina canta solo canzoni neomelodiche napoletane a squarciagola!

  • Controllo a sorpresa: Aspettati visite a sorpresa da ispettori più severi di un direttore d’orchestra durante un’esecuzione di Beethoven. Tracciabilità? Devi sapere dove ogni singola fragola è nata, chi l’ha raccolta, e persino il nome del suo primo amore! Io, personalmente, ho perso un amico durante queste ispezioni. E non ci sentiamo più.

  • Domanda al Ministero: Preparati alla maratona finale. Devi convincere il Ministero che le fragole di nonna Pina (quelle con il gusto da urlo) meritano l’IGP più di qualsiasi altra fragola al mondo. È una battaglia epica, ragazzi!

In più: Ricorda, devi pagare un sacco di tasse! E io che pensavo che coltivare fragole fosse facile! Mia sorella, invece, fa la commercialista e si è arricchita grazie a queste pratiche! Che culo! Ah, e se non hai un orto segreto con lumache assassine, il gioco è già compromesso.

Come un prodotto diventa DOP?

Ah, la DOP! Praticamente è come la patente di nobiltà per i cibi, solo che invece di sangue blu, c’è di mezzo il sudore dei contadini e regole più rigide di un militare in libera uscita.

  • Selezione degna di X-Factor: L’Unione Europea, manco fosse Simon Cowell, valuta le aziende. Se non balli come dicono loro, niente DOP!

  • Il Disciplinare, una Bibbia: È un manuale che detta legge su come fare il prodotto, dalla A alla Z. Se sgarri, sei fuori! Ricorda la volta che ho provato a fare il pesto senza basilico genovese? Un disastro!

  • Organismo di Controllo, il Grande Fratello: Questi tizi controllano che tu non faccia il furbo. Sono peggio della mia ex, sempre a controllare cosa combino.

  • Un aneddoto: Una volta ho sentito dire che un produttore di aceto balsamico DOP ha dovuto rifare un’intera partita perché aveva usato un cucchiaino di aceto non certificato. Pazzesco!

Cosa garantiscono i marchi di qualità?

Marche di qualità? Mah, serve a dire che un prodotto è… buono? Tipo, se c’è quel marchio lì, la mozzarella è davvero di bufala campana? Oppure è solo marketing? Mia nonna giura che solo quella con il marchio è buona, ma io… boh. A volte mi chiedo se sia davvero così importante.

Costo di più, certo. Ma è davvero una garanzia? Mi ricordo che l’anno scorso ho preso un prosciutto con un marchio famoso, e mi è sembrato… normale. Non eccezionale. Allora? A cosa servono sti marchi? A far spendere di più?

  • Certificazione materie prime
  • Metodi di produzione
  • Garanzia qualità (dicono…)
  • Prezzo più alto

Poi c’è il discorso del “pregio” delle materie prime… pregio? Cosa significa?! Significa che usano latte migliore per la mozzarella? O che il maiale mangiava solo castagne? Non lo so. Devo informarmi meglio. Quest’anno voglio provare un vino con un marchio DOCG, solo per vedere. Magari è davvero diverso. Speriamo!

  • Ieri ho visto un documentario su come vengono prodotti alcuni formaggi DOP e ho capito un sacco di cose. Incredibile quanto lavoro c’è dietro!
  • Mia cugina lavora in un’azienda che produce olio extravergine di oliva biologico, con un marchio di qualità regionale. Mi ha raccontato mille dettagli.
  • Quindi, forse, i marchi di qualità non sono solo fumo negli occhi. Forse.

Chi attribuisce i marchi di qualità?

Attribuiscono i marchi? Enti certificatori.

  • Accreditati, certo, da organismi. Nazionali o esteri, poco cambia.
  • Valutano conformità. Standard qualitativi. Processi, composizione, sicurezza. Tutto il teatrino.

Analisi accurata. Processo indipendente. Fiducia, qualità. Ma la fiducia… è un’altra storia. Gli standard ISO, per esempio, sono un universo a parte. Un mio amico, che lavora nel settore alimentare, dice sempre: “La qualità è relativa, il marketing è assoluto”. Filosofie spicciole, ma vere.

  • Non sempre un marchio è garanzia. Ricordo un vino biologico, imbevibile. La certificazione era impeccabile, il sapore no.
  • Il vero marchio di qualità? Forse l’esperienza personale. O l’istinto. Ma quello, non si certifica.

Quali sono le principali certificazioni di qualità degli alimenti?

Amici, preparatevi a un’ondata di sigilli di qualità, mica bruscolini eh! Stiamo parlando di certificazioni alimentari, roba seria, non scherziamo!

  • DOP (Denominazione di Origine Protetta): Queste sono le superstar del cibo! Tipo, il Parmigiano Reggiano, un’icona! Solo se prodotto in quella zona lì, con quelle tecniche lì, ha il sigillo. Altrimenti? È un semplice formaggio, poverino. Mia nonna, che di formaggi se ne intende, direbbe “ma che schifezza!”

  • IGP (Indicazione Geografica Protetta): Un gradino sotto la DOP, ma sempre fighi! Pensa al prosciutto di Parma, anche qui, la zona di produzione è fondamentale. Come dire, il posto fa la differenza, mica pizza e fichi! Lo sa bene zio Enzo, che ha un’azienda agricola.

  • STG (Specialità Tradizionale Garantita): Qui ci mettiamo un po’ più di libertà! Si parla di metodi tradizionali di lavorazione, ma non c’è un vincolo preciso sulla zona. È come un parente un po’ ribelle, ma sempre amato! Sai, quei dolci della nonna fatti col metodo antico, ma magari con un pizzico di fantasia in più.

  • Vini DOP e IGP: Anche qui, stesso discorso dei cibi! Un Chianti Classico DOP è un’altra cosa rispetto a un Chianti qualsiasi. Pare che mio cugino abbia una cantina, ma lui di vini non capisce un tubo, quindi non chiedetemi dettagli.

Ah, e dimenticavo! Quest’anno la burocrazia è esplosa, quindi a breve ci saranno altre 15.000 sigle di certificazione, preparatevi! Ogni giorno, invento una nuova certificazione, la brevetto e la rivendo al miglior offerente. Il mio motto? “Certificazioni ovunque! E se non ci sono, le inventiamo!”

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