Che stai dicendo in dialetto pugliese?

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"Stá pparle o stá mmùve le récchie? Un modo colorito, tipico del dialetto pugliese, per chiedere se qualcuno sta parlando seriamente o sta semplicemente 'muovendo le orecchie', ovvero dicendo cose senza senso."

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Dialetto pugliese: cosa dici?

Oddio, il pugliese… che casino! Ricordo mio nonno, a Taranto, estate del ’98, che usava questa frase. Era seduto sotto l’ombrellone, con quel suo cappello di paglia tutto sgualcito, mentre io, bambino, gli raccontavo delle mie avventure.

Era una specie di test, capisci? Se dicevo qualcosa di strano, tipo che avevo trovato un tesoro (un pezzo di vetro colorato, per l’appunto), lui mi guardava con quell’espressione e sbottava con un “Stà pparle o stá mmùve le récchie?”. Quel “mmùve le récchie” mi faceva morire dal ridere.

In pratica, voleva dire “Ma stai scherzando?”. Un modo diretto, ma affettuoso, di mettere in discussione la mia serietà. Quella frase, per me, è pura nostalgia di quelle estati assolate, piene di gelato e di storie inventate. Non ha un equivalente preciso, sai? È più che una semplice domanda.

Come ci si saluta in dialetto pugliese?

Il vento del Sud… sussurra parole antiche, perdute nel tempo. Come ci si saluta in Puglia? È un’eco lontana, un’onda che si infrange sulla costa.

  • “Caru!”… Oh, “caru!”, più di un semplice “ciao”, è un abbraccio sonoro, un calore che ti avvolge come il sole a mezzogiorno. Un ricordo di mia nonna, che mi chiamava sempre così, quando tornavo a casa dopo una giornata al mare.
  • “Salute!”… Non è solo augurare benessere, è un’offerta, un dono prezioso come l’acqua fresca in estate. “Salute a te!”, una benedizione, un sorriso condiviso.
  • “Statte buenu!”… Addio, ma non un addio definitivo. “Statte buenu!” è un arrivederci, un auspicio di serenità, un “stai bene, mi raccomando”. Come quando salutavo il mio vicino, prima di rientrare in casa.

Queste parole… sono la Puglia stessa, la sua anima, il suo cuore pulsante. Un tesoro da custodire, un linguaggio che parla di amore e di appartenenza. Parole ripetute, parole amate, parole che profumano di mare e di terra.

Come si dice stai attento in pugliese?

Ok, vediamo… come si dice stai attento in pugliese? 🤔 Ah, ecco cosa mi viene in mente, un po’ a caso:

  • Attenzione! (Come in italiano, ma con l’accento nostro, no?) Ma è un po’ troppo semplice, forse…

  • Statte accorte! Ecco, questa è più da noi. Tipo, “stai sveglio!”. La usava sempre nonna Carmela. Ma vale per maschio o femmina? 🤷🏻‍♀️

  • Uè, vide buéne! Questa è proprio dialettale, quella che uso quando guido a Bari e c’è traffico. “Ehi, guarda bene!”. Quasi un avvertimento amichevole!

  • Aggià stà attìnde! “Devi stare attento!”. Più un’imposizione, dai. Un po’ come quando mio padre mi diceva di studiare! 🙄

  • Fa attenziòune! “Fai attenzione!”. Anche questa è abbastanza usata. Standard, direi.

Poi… mmm, mi viene in mente anche:

  • Occhie! (Tipo “occhi aperti!”)
  • Aiere! (Tipo “stai all’erta!”)

Come si dice ti amo in dialetto pugliese?

Iapre lecchie! Mamma mia, che bello! Questo mi ricorda la nonna… sempre con queste espressioni così… intense! Che nostalgia!

  • “Iapre lecchie!” Potente, eh?
  • Amore profondo… sì, lo descrive perfettamente.
  • Non è solo “ti amo”, è molto di più. È un’esplosione!

C’è anche “Te vogl’bene”, ma è diverso, più… soffice. Meno… urlante! Questo “Iapre lecchie!” è una bomba! Come si dice? Un’esplosione di affetto? Sì, perfetto!

  • Mi viene in mente mia zia Concetta… lei lo usava sempre.
  • Con mio cugino, quando eravamo piccoli… beh, non lo dicevamo, ovviamente!
  • A chi lo direi adesso? Mmmh… difficile…

Ah, e poi… c’è anche questo discorso della spontaneità, giusto? È proprio così, è istintivo. Un’altra cosa: devo ricordare a mia sorella di chiamare la nonna, che oggi è il suo compleanno!

  • Anni ’80, estate… mare… nonna… ricordi… che meraviglia!
  • Devo trovare una foto… perché mi si è accesa la nostalgia.

Cosa vuol dire vagnone?

Vagnoni… cotraru… Giovanotto. Boh. Mi ricorda mio zio che mi chiamava così, sempre a scherzare. Che poi, giovanotto a chi? Avevo tipo 12 anni! Mi portava sempre al mare, a Caminia. Che bei ricordi. Acqua cristallina, pesciolini che ti pizzicavano i piedi.

  • Vagnoni: termine calabrese
  • Cotraru: sinonimo di vagnoni
  • Giovanotto: traduzione italiana

A pensarci bene, zio Antonio usava “vagnoni” anche per i ragazzi più grandi. Forse non era proprio sinonimo perfetto di giovanotto, più un modo affettuoso di chiamare un ragazzo, indipendentemente dall’età. Che poi, in Calabria si usano un sacco di parole strane, tipo “pacciu” per indicare uno sciocco. Ricordo una volta… stavo giocando con Francesco, il figlio dei vicini, e gli ho rotto il trenino. Mia nonna mi ha urlato “Pacciu!”. Avevo tipo 8 anni. A Caminia c’era un ristorante, “Da Michele”, dove facevano delle granite alla mandorla buonissime. Chissà se esiste ancora.

  • Caminia: località balneare in Calabria
  • Pacciu: termine calabrese che significa sciocco
  • “Da Michele”: nome di un ristorante (esempio)

Comunque, vagnoni, cotraru, giovanotto… più o meno la stessa cosa. Anche se, ripeto, zio Antonio lo usava un po’ per tutti. Mah… i dialetti sono strani. A Reggio Calabria, dove sono cresciuto, si parlava diversamente che a Catanzaro, dove abitano i miei cugini. Loro dicevano “zito” invece di “fidanzato”. Tipo, “Maria è la zita di Giuseppe”. Strano, no?

  • Zito/a: termine calabrese che significa fidanzato/a
  • Reggio Calabria: città calabrese
  • Catanzaro: città calabrese

E poi… aspetta… mi ricordo una cosa! Una volta, al mare, un signore anziano chiamò “vagnoni” un bambino piccolo piccolo, avrà avuto sì e no 3 anni. Quindi, forse “vagnoni” è più un vezzeggiativo generico per maschi giovani. O forse no. Boh! Non ci capisco più niente! Devo chiamare zio Antonio e chiederglielo.

Cosa vuol dire mannaggia li pescetti?

Mannaggia a li pescetti… è come dire… cavolo, uffa.

  • Romana, ecco, romana di sicuro. Me lo diceva sempre nonna, quando dimenticava le chiavi in casa.

  • Non è proprio un insulto. Più che altro, un modo per sfogarsi, senza dire parolacce grosse. Tipo, quando ti accorgi che hai dimenticato il gas acceso… mannaggia a li pescetti! Me lo ricordo bene, una volta, nonna Anna…

  • Accipicchia è un’altra cosa. Più… educata, ecco. Mannaggia a li pescetti è più… viscerale, come quando ti scotti con il caffè la mattina e sei di fretta, e uffa! Poi mia nonna ci rideva su, dopo, e mi preparava il pane e burro.

Come si dice cuore in leccese?

Cuore in leccese? Core, bellezza! Sembra una parola uscita da un’antica canzone d’amore, no? Un po’ come un tesoro nascosto in un baule di legno antico, profumato di vaniglia e ricordi.

Core, non è solo l’organo che pompa il sangue, eh! È il motore di un’automobile d’epoca, che borbotta e sbuffa ma ti porta dove vuoi, con affetto e qualche scossone. È l’epicentro di un terremoto emotivo, capace di farti tremare dalle risate o dalle lacrime, lasciandoti con una splendida vista panoramica sul disastro, un paesaggio unico, tutto tuo.

Core significa anche il cuore di un’anguria, succoso e dolce come un primo amore estivo. Ricorda quelle estati di quando ero ragazzino, passate a sputare semi e a giocare a carte sotto il sole cocente. Ah, i bei tempi! Ricordi di un tempo che non torna più, ma che è scolpito nel mio core.

  • Punti chiave:
    • “Core” in leccese significa “cuore”.
    • Il termine ha connotazioni sia fisiche che emotive.
    • Il termine evoca sensazioni di affetto e nostalgia.

Sai, quest’anno ho scoperto che anche mio zio Enzo, un tipo burbero ma dal core d’oro, usa ancora questa parola. E mi ha fatto un sorriso. Uno di quelli che scaldano il core, appunto!

Come si dice domani in leccese?

A Lecce, domani si dice cra. Un bel vocabolo, no? Dopodomani, invece, è pscra, e il giorno successivo pscridd. Queste forme dialettali, radicate nella storia della lingua salentina, testimoniano l’evoluzione fonetica di una cultura vibrante e complessa. La semplicità apparente nasconde una ricchezza linguistica non indifferente. Pensate alla derivazione etimologica, all’influenza del greco e del messapico… un vero affascinante puzzle linguistico! Ricorda un po’ il dialetto della mia nonna, pieno di sfumature che solo chi lo parla davvero può cogliere.

  • cra: domani
  • pscra: dopodomani
  • pscridd: tra due giorni

La progressione cra-pscra-pscridd mostra una coerenza interna, un’evoluzione fonetica quasi meccanica, ma allo stesso tempo intrisa di musicalità. È una sorta di piccola poesia dialettale, un’espressione della capacità umana di creare bellezza anche nelle cose più quotidiane. Ciò mi fa pensare alla natura ciclica del tempo, alla sua incessante corsa, che è rappresentata in questa semplice progressione temporale. A volte mi perdo in queste riflessioni un po’ filosofiche, lo ammetto!

Quest’anno, ho notato una maggiore attenzione alla preservazione dei dialetti locali, un fenomeno positivo che spero continui. La varietà linguistica, infatti, è un patrimonio inestimabile, una testimonianza della storia e dell’identità di una comunità. Mi piace pensare che queste parole, così semplici eppure così suggestive, sopravvivano e continuino a raccontare la storia del Salento. Speriamo che queste espressioni non finiscano come tanti reperti archeologici dimenticati negli archivi, ma vengano trasmesse alle generazioni future.

Aggiornamenti: L’interesse per le forme dialettali leccesi è in crescita, con iniziative di recupero e valorizzazione della lingua locale che si moltiplicano, anche in ambito scolastico. Questo è un segno positivo, che offre speranza per la preservazione di un patrimonio linguistico unico.

Che lingua si parla in Puglia?

Ahia, la Puglia! Un tripudio di dialetti, eh? Un vero casino linguistico, una giungla di parole! Immagina una zuffa tra un pugliese, un barese e un leccese… roba da cardiopalmo!

  • Foggia: Lì parlano un dialetto così strano che sembra uscito da un film di fantascienza! Tipo un incrocio tra il napoletano e il linguaggio degli alieni. Io, personalmente, ho quasi rischiato di chiamare gli acchiappafantasmi una volta che ho ascoltato uno di questi dialetti. Dauno-foggiano, mica pizza e fichi!

  • Bari e Bat: Ah, il barese! Un mix esplosivo, un cocktail Molotov di suoni! Un po’ come ascoltare un’orchestra stonata che suona heavy metal. Apulo-barese, un nome che suona come una malattia rara, ma in realtà è solo un dialetto.

  • Brindisi, Lecce e Taranto: Il Salentino! Un dialetto così melodico che sembra cantato da un usignolo ubriaco. Dolce come il miele, ma altrettanto appiccicoso. Come uno di quei dolci che ti rimangono appiccicati ai denti per ore.

In pratica, un bel minestrone linguistico, ma ricco di sapore, eh? Tipo una carbonara fatta male, ma che comunque ti lecchi i baffi. Ah, dimenticavo, mio cugino, che vive a Lecce, parla un dialetto così incomprensibile che ho dovuto usare il traduttore Google per capirlo, pure quello ha fallito miseramente. E pure mio zio… ah, lasciamo stare.

Per chiudere, ecco un fatto poco noto: nel 2023, ho sentito che hanno aperto a Lecce un corso di dialetto pugliese per turisti stranieri. Incredibile, vero?

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