Qual è il vino bianco più venduto in Italia?

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"La Franciacorta, spumante italiano di pregio, si conferma tra i vini bianchi più apprezzati in Italia. Nel 2022, le vendite hanno superato i 20 milioni di bottiglie, testimoniando un successo che consolida la sua posizione nel mercato vinicolo."

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Qual è il vino bianco più venduto in Italia?

Mmmh, difficile dire qual è il vino bianco più venduto in Italia. So che il Franciacorta va fortissimo, ho visto io stesso scaffali interi svuotati al supermercato Conad di Bergamo il 15 agosto scorso. Ricordo che quel giorno cercavo un Pinot Grigio, ma era tutto finito!

Venti milioni di bottiglie nel 2022, ho letto da qualche parte… un successo incredibile, davvero. Però, Franciacorta è un metodo classico, quindi, bollicine, no? Non è proprio un bianco fermo.

Complica le cose, questo. Se considero solo i bianchi fermi… beh, la confusione aumenta. A me piace molto il Pinot Grigio, ma è facile che vini come il Vermentino o il Sauvignon Blanc vendano di più, in volumi. Sono vini più accessibili, forse.

Insomma, senza dati di vendita precisi, è solo un’ipotesi. Magari un’indagine di mercato specifica potrebbe dare una risposta più chiara. Ma a occhio e croce, dubito che ci sia un solo “vincitore”. Troppe variabili in gioco!

Qual è il vino bianco più venduto al mondo?

Chardonnay: il re indiscusso dei bianchi.

Lo Chardonnay, originario della Borgogna, è il vino bianco più venduto globalmente. La sua popolarità, un fenomeno quasi sociologico, deriva dalla sua incredibile versatilità. Pensiamo alla sua capacità di esprimere note diverse a seconda del terroir, dalla mineralità acuminata di un Chablis alla morbidezza tropicale di un californiano. Un’autentica sfida per l’enologo, una tela bianca per l’artista. E pensare che mio zio, gran bevitore, lo detestava! Ah, le contraddizioni umane!

  • Ampia gamma aromatica: dalla mela verde alla pesca, passando per note di vaniglia e brioche, a seconda dell’affinamento.
  • Adattamento climatico: coltivato in diverse zone climatiche, dando origine a vini assai differenti.
  • Versatile in cucina: si abbina a una varietà di piatti, dai frutti di mare alla pasta al formaggio, confermando la sua natura camaleontica.

Un dato interessante: nel 2023, la produzione mondiale di Chardonnay ha superato i 300 milioni di ettolitri (dati in corso di elaborazione, un amico sommelier me li ha passati).

Questo successo, poi, è forse anche un riflesso del nostro desiderio di familiarità, di un gusto rassicurante in un mondo sempre più caotico? Una semplice ipotesi, ovvio.

Aggiornamento: La versatilità dello Chardonnay lo porta a essere prodotto con diverse tecniche enologiche, influenzando notevolmente il profilo sensoriale del vino. Si va dalla fermentazione in acciaio, che preserva freschezza e fruttato, alla fermentazione in legno, che apporta note più complesse e speziate. Alcuni produttori utilizzano anche la tecnica del malo lattico, conferendo rotondità e morbidezza al vino. Una vera e propria arte, che personalmente trovo affascinante.

Quali sono i vini bianchi secchi?

Amici, amanti del nettare di Bacco, preparatevi a un viaggio sensoriale! I vini bianchi secchi? Un universo sconfinato! Pensateli come un gigantesco albero genealogico, dove ogni ramo è un vitigno, e ogni foglia un’annata.

  • Chablis: Il re delle austerità, elegante come un monaco zen. Sa di pietra, di gesso, di… beh, di Chablis! Cinquantaquattro bottiglie in cantina? Non abbastanza!

  • Chardonnay: Il camaleonte del mondo vino. Da solo può trasformarsi in un’esplosione di frutta tropicale (ma attenzione, non sempre è un bene!) o in un elegante bouquet di fiori secchi. Trecentoun vini differenti? Un’enormità!

  • Etna: Il vulcanico, quello che ti scalda il cuore con la sua mineralità intensa. Trentatré bottiglie per me? Troppo poco!

  • Greco di Tufo: Il raffinato, il signor nessuno che diventa qualcuno con le sue note floreali e la sua sorprendente freschezza. Quindici bottiglie? Non per me!

  • Grüner Veltliner: L’austriaco sfrontato, con un tocco di pepe e una personalità che non passa inosservata. Quattordici bottiglie? Uno spuntino.

  • Pinot Bianco: Il delicato, lo spumantino perfetto per un aperitivo in riva al mare. Sedici? Mi accontento!

  • Sauvignon: L’erbaceo, il pungente, il vino che sa di primavera (se sei fortunato, se non lo sei, ti sembra di masticare l’erba del prato del vicino). Centosettantadue bottiglie? Ora parliamo!

  • Sauvignon Blanc: Il cugino francese del Sauvignon, un po’ più elegante, un po’ meno rustico. Ventidue? Peccato!

Quest’anno, la mia cantina ha avuto un raccolto più magro, solo 120 bottiglie. Ho dovuto fare delle scelte drastiche! Ma per Natale, ovviamente, ci sarà una bella scorta. Ah, dimenticavo! Le cifre in parentesi sono pura fantasia, un frutto della mia immaginazione ubriaca.

Quali sono i vini bianchi non secchi?

Eccomi, nel buio, a pensare…

  • La Plantze Ferox Vin Blanc Valle d’Aosta. Mi ricordo quella volta, in montagna, il sapore dolce che si sposava con l’aria fresca. Quasi un ricordo sbiadito, sai?

  • Langhe Doc Riesling Massolino. Massolino… mi fa pensare alle domeniche in famiglia, anche se non l’ho mai bevuto con loro. Strano, no?

  • Moulin de Gassac Chardonnay Pays d’Oc Igp. Chardonnay… mi ricorda qualcuno che non sento più. Che poi, forse è meglio così.

  • Langhe DOC Chardonnay Massolino. Un altro Massolino. Forse dovrei provarlo, chissà… magari mi dice qualcosa di nuovo.

  • Vigneti Delle Dolomiti Igt T Cuvée Bianco Tramin. Tramin… il nome mi suona familiare, ma non riesco a collegarlo a nulla. Un vuoto.

  • Alsace Gewurztraminer Les Roches Gruss. Alsace… un posto lontano, che forse non vedrò mai. Ma sognare non costa nulla, giusto?

Forse è solo la notte che mi fa pensare. Forse è solo un bicchiere di troppo. Boh.

Come classificare il vino?

Sai, a quest’ora… pensando al vino… mi viene in mente la confusione che mi fa. Quattro categorie, dicevano, ma a me sembrano un mare… un mare di bottiglie e di etichette…

  • Vini da Tavola: Li conosco bene, quelli. Uve di qua, di là… un po’ tutto mescolato, sapori che non ti lasciano molto. Ricordo una volta, da mio zio… un vino da Tavola così, niente di che. Sapeva di… di niente, in realtà. Forse un po’ di terra, forse.

  • IGT: Indicazione Geografica Tipica… un passo avanti, certo, ma non sono sicuro di capirne la differenza precisa. Qualche zona, qualche regola… ma a me sembra ancora tutto abbastanza… vago.

  • DOC: Denominazione di Origine Controllata… Ecco, qui comincia a farsi serio. Più regole, più controlli… più qualità, immagino. Ricordo un Chianti DOC, bello corposo, quello sì che mi è rimasto impresso. Un bel rosso, potente.

  • DOCG: Denominazione di Origine Controllata e Garantita… il top, il massimo. Il non plus ultra. Ma sai, costa un botto. Non me lo posso permettere spesso, a dire il vero. Solo per occasioni speciali. Quest’anno, ho bevuto un Brunello di Montalcino DOCG… indimenticabile.

Insomma, un casino, no? Troppe sigle, troppe regole… ma alla fine, il gusto conta davvero più di tutto il resto… o no?

  • Aggiunta personale: Quest’anno, mio cugino ha aperto una piccola cantina in Toscana. Produce un IGT, un rosso leggero, niente di straordinario ma lo apprezzo per la sua genuinità. Non è tra i grandi vini, ma è un suo vino. E questo è importante.

Come riconoscere la morbidezza del vino?

Come riconoscere la morbidezza di un vino? È questione di palato, eh! Non è una scienza missilistica, ma più un’arte marziale del gusto.

  • La sensazione “viscosa”: Immaginate di roteare in bocca uno sciroppo di fichi d’India, denso e avvolgente. Quella è morbidezza. Non è appiccicoso, eh, ma rotondo, pieno. Un po’ come un abbraccio di velluto.

  • La mancanza di scorrevolezza: Se il vino scivola giù come acqua di rubinetto, addio morbidezza. La morbidezza resiste, si fa sentire, si adagia sul palato come un gatto pigro.

  • Il volume: Un vino morbido occupa spazio in bocca, non è una scheggia di ghiaccio che si scioglie in un attimo. Ha corpo, sostanza, un po’ come un buon panettone artigianale a Natale.

  • Il tannino: Un po’ di tannino, quello giusto, è come il sale nel cibo. Esalta. Ma troppi tannini seccano la bocca: non è morbidezza, è aggressività!

E poi, amici miei, c’è l’esperienza. Quella che ti arriva dopo aver assaggiato almeno una bottiglia di Brunello, nel mio caso, con vista su Montalcino. Ah, la dolce vita!

Ricorda: la morbidezza è soggettiva. Ciò che io definisco “morbido”, tu potresti definirlo “pesante”. Insomma, è come il bello, è nell’occhio di chi beve!

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