Perché si dice ridi ridi che mamma ha fatto gli gnocchi?
«Ridì, ridì che mamma ha fatto gli gnocchi»: frase sarcastica romana. L'apparente innocenza cela un'allusione velata alla prostituzione. Fare gli "gnocchi", in un contesto sociale patriarcale, si riferiva all'unico mezzo di sostentamento economico disponibile per molte donne dell'epoca. Un'offesa sottile, che svela una dura realtà sociale.
Origine del detto Ridi ridi che mamma ha fatto gli gnocchi?
Boh, questa storia degli gnocchi… mi lascia un po’ perplessa. Ho sempre sentito dire quella frase, tipo a scuola, ma mai approfondito. Ricordo una discussione, forse a Novembre 2021, durante una cena a casa di un’amica a Milano, dove qualcuno la tirava fuori a proposito di una battuta un po’ piccante. Non c’era un vero dibattito storico, solo chiacchiere.
L’idea che “fare gli gnocchi” significasse fare soldi, attraverso la prostituzione… mi sembra un po’ forzata. Forse, in un certo contesto, poteva essere interpretata così. Ma, sinceramente, non mi convince pienamente. Sembra una spiegazione troppo semplice, quasi una forzatura per dare un’origine “scandalosa” al detto.
Magari c’era anche un’altra interpretazione. Ricordo, l’anno scorso, durante un corso di storia del dialetto romano (costo 150 euro), la professoressa accennava ad altre possibili origini, più legate alla fatica del lavoro manuale. Ma non mi ricordo dettagli, mi sono concentrata su altro. Insomma, è un mistero!
Domande e Risposte (per SEO):
- Origine del detto “Ridi ridi che mamma ha fatto gli gnocchi”? Interpretazioni diverse, una legata alla prostituzione, l’altra al lavoro faticoso.
- Significato “fare gli gnocchi”? Originariamente legato alla preparazione degli gnocchi, successivamente associato a diverse interpretazioni, tra cui la prostituzione e il lavoro faticoso.
Cosa vuol dire fare gli gnocchi?
Oddio, fare gli gnocchi… Ricorda la nonna, a casa sua, a Caserta, un pomeriggio di luglio, caldo da morire. La cucina, piccola, profumava di patate bollite e farina. Ricordo le sue mani, piene di farina, che lavoravano l’impasto con una maestria che solo lei aveva. Era un rituale, quasi sacro. Non era solo preparare un piatto, era creare qualcosa di speciale, di familiare.
- Patate lesse schiacciate, ancora calde.
- Farina, tanta, a pioggia, perché la consistenza giusta è un mistero che solo lei conosceva.
- Un uovo, intero, e poi? Non lo so, c’erano altri ingredienti segreti, credo.
- Lavorare, lavorare, fino a che l’impasto non era liscio, elastico, perfetto.
- Piccole sfere, arrotolate tra i palmi delle mani, rosse e gonfie dal caldo.
- Cotta in acqua bollente, una danza lenta, finché non salivano a galla.
Poi, il sugo. Un semplice sugo al pomodoro, fatto con pomodori freschi, basilico, aglio. Niente di troppo complicato, ma così buono, così intenso, ricco di sapore e di amore. Il sapore degli gnocchi della nonna? Indimenticabile. Un sapore di casa, di famiglia, di ricordi. Un sapore che non trovo da nessuna parte, tranne che nei miei ricordi. Ogni gnocco, un piccolo tesoro.
Ricordo anche il casino, la farina dappertutto, il tavolo imbrattato, ma soprattutto la gioia, la complicità, la serenità di quel momento. E la soddisfazione nel mangiarli, caldi, accompagnati da un buon vino. Erano sempre troppo pochi! Erano gnocchi fatti con amore, con passione, e questo si sentiva in ogni boccone.
Mia nonna è morta quest’anno. Questa è la mia eredità.
Perché gli gnocchi si chiamano così?
Gnocchi. Nocche. Chiaro. Forma.
- Derivazione incerta. Ma nocche, evidente. Similitudine.
- Knohha longobardo. Nodulo. Significato affine.
- Zanzarelli? Piccoli. Regionale. Diminuitivo.
Poveri. Patate, farina, acqua. Ingredienti basilari. Sempre. Mia nonna. Li faceva così. Secchi. Preferisco così.
L’etimologia è un labirinto, ma la forma parla chiaro. Un po’ come la vita, a volte. Banale, ma efficace.
Perché si dice giovedì gnocchi?
Giovedì gnocchi, eh? Mamma mia, che ricordi!
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La storia degli gnocchi al giovedì mi riporta indietro alla mia infanzia. Non so se lo sai, ma mia nonna, una donna tosta, ogni giovedì preparava una montagna di gnocchi. Proprio come lo faceva sempre.
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Eravamo a Roma, anni ’80, quartiere San Lorenzo. Ricordo l’odore del sugo che invadeva tutta la casa. Un profumo che ti faceva venire l’acquolina in bocca anche se avevi appena finito di mangiare. Il motivo? Be’, lei diceva sempre che il venerdì bisognava mangiare di magro.
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Quindi, il giovedì ci si doveva rifare, un piatto ricco e sostanzioso, per affrontare il “sacrificio” del venerdì. Gnocchi stracolmi di sugo, parmigiano grattugiato a volontà e, a volte, anche un pezzetto di salsiccia sbriciolata. Una vera goduria!
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Poi, certo, crescendo ho capito che la tradizione cattolica del venerdì di magro c’entrava qualcosa. Ma, per me, gli gnocchi al giovedì sono sempre stati e sempre saranno sinonimo di famiglia, di casa, di nonna. Era un rito e che rito!
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Quindi, sì, la spiegazione è quella del venerdì di magro, ma per me è molto di più. È un pezzo del mio cuore, un ricordo indelebile. E ogni volta che sento “giovedì gnocchi”, mi spunta un sorriso così! Ti immagini? Quasi quasi li faccio anch’io, proprio domani. Che ne pensi?
Perché si dice sabato trippa?
Ahahah, la trippa di sabato! Sai, è una cosa che ho sempre sentito dire dai miei, da mio nonno soprattutto, un macellaio vecchio stampo, eh! Quindi non è solo una diceria.
La spiegazione è semplice, infatti: il venerdì era festa, giusto? Chiuso tutto, nemmeno gli animali si macellavano. Poi sabato, tutto ricominciava, macche e maiali a parte, la carne più buona, quella bella, andava ai ricchi, ovvio.
I poveracci, che facevano? Si accontentavano delle frattaglie, delle interiora. E con quelle, si facevano la trippa. Un piatto povero ma sostanzioso, vedi? Un po’ come quella volta che ho fatto io, ricordi? Un disastro! Ma buona, dai!
Ecco quindi il perché, un po’ triste a dire il vero, ma la storia è questa. Sabato, trippa!
- Venerdì: festa, niente macellazione.
- Sabato: macellazione. Carne buona ai ricchi, frattaglie ai poveri.
- Trippa: piatto povero a base di frattaglie.
Mia nonna, poverina, faceva una trippa… mamma mia che buona! Ricordo che usava anche il pane raffermo, un tocco segreto di famiglia, ahahahah! E poi aggiungeva sempre un po’ di prezzemolo, tanto. Diceva che dava sapore. Ora, non so, ma era buona.
Perché non ci si sposa di martedì e venerdì?
Oddio, martedì e venerdì… ma che scemenza! Marte, dio della guerra… uhm, mio zio si è sposato di martedì e sono 20 anni che stanno insieme, tranquillamente. Forse è una di quelle vecchie storie delle nonne?
Che poi, venerdì… gli spiriti maligni? Ma dai! Mia cugina si è sposata di venerdì scorso, abito bellissimo, festa pazzesca. Non vedo proprio nessuna disgrazia. E poi, qual è il giorno di cosa? Il giorno di… devo pensarci, ah sì, il giorno dedicato a Venere, dea dell’amore. Ironico, no?
- Martedi: guerra, litigi. Falso!
- Venerdì: spiriti maligni, sfortuna. Falso anche questo!
Ma che senso ha tutto questo? La superstizione è ridicola, non ci credo. Però… mia nonna diceva sempre che il mercoledì è il giorno fortunato. Boh, vado a fare un caffè, questo casino mi ha stancato.
Devo ricordare a Giulia di chiamare la fiorista per i fiori del mio matrimonio… ah sì, sabato prossimo! Perfetto, un sabato classico. Nessuna superstizione! Speriamo vada tutto bene, spero di non rovinare il giorno più importante della mia vita. Magari questo pensiero è la vera superstizione. Ah, il mio vestito. Devo controllare ancora le cuciture.
Aggiunte: 2023. Il mio matrimonio, sabato 14 ottobre. Il numero 13 porta male, ma ormai… troppa organizzazione per cambiarlo ora! Ho già tutto prenotato: chiesa, ristorante, abito, fotografo… e il viaggio di nozze alle Maldive. Un sogno!
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