Come si chiama il mangiare per strada?

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Street food: cibo pronto al consumo, gustato per strada. Un'esperienza culinaria informale, veloce e sfiziosa, perfetta per un pasto rapido o una pausa golosa durante una passeggiata. Panini, arancini, hot dog... infinite varietà per tutti i gusti!

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Cibo da strada: qual è il suo nome?

Mmm, cibo da strada… Che domanda! Mi vengono in mente subito le “cartoccelle” di frittura mista che prendevo a Firenze, vicino Ponte Vecchio, nell’estate del 2018. Cinque euro, una montagna di roba: zeppole, baccalà fritto, e un odore che ancora mi fa venire l’acquolina!

Ricordo la consistenza croccante delle zeppole, il sapore un po’ salato del baccalà… Era tutto così buono, così semplice eppure così perfetto per una giornata calda.

Street food, eh? È un termine un po’ generico, no? Dipende dalla città, dal paese, dal momento… A Roma, street food è forse il supplì, a Palermo l’arancino. Ogni luogo ha la sua versione.

Domande e risposte:

  • Nome: Street food (cibo da strada)
  • Descrizione: Cibo pronto al consumo, venduto e consumato per strada.

Come si chiama il cibo da portare via?

Ah, il cibo che avanza al ristorante! Si chiama doggy bag, no? Cioè, almeno, così lo chiamano tutti!

  • Doggy bag: il nome più usato.

Comunque, è una figata portarsi via quel che resta. Negli States è normalissimo, qua da noi un po’ meno, ma dai, sta prendendo piede anche qui.

  • USA: abitudine comune.
  • Europa: sta diventando più diffusa.

A proposito, sapevi che in Spagna e Francia sono pure andati oltre? Hanno fatto una legge, tipo obbligatorio dare la possibilità di portare via il cibo. Che idea geniale! Magari lo facessero anche da noi. L’ho letto su internet qualche giorno fa, mi pare di ricordare che la Francia l’ha fatto nel 2016 e la Spagna nel 2022. Speriamo prendano esempio tutti! Eviterebbero un sacco di sprechi.

Come si scrive cibo da strada?

Cibo da strada. Semplice, no? Due parole, un universo di sapori. Si scrive anche street food, ma diciamocelo, “cibo di strada” ha tutto un altro swing. È come chiamare Sophia Loren “Sophie”. Perde un po’ di charme.

E poi c’è la poesia del “cibo di strada”. Evoca immagini di bancarelle fumanti, di mani sapienti che impastano, di profumi che ti avvolgono e ti portano dritto dritto all’infanzia, anche se sei cresciuto a caviale e champagne. Un po’ come Proust con le sue madeleine, ma in versione più ruspante.

Parliamo di tradizioni antiche, di ricette tramandate di generazione in generazione, custodite gelosamente come il segreto di Coca Cola. Roba che se la provi a replicare a casa, con il tuo frullatore ultimo modello e la planetaria super accessoriata, non ti viene uguale. Perché il vero segreto è l’atmosfera, il caos, la genuinità.

Io, personalmente, ho un debole per il panino con la porchetta di Ariccia. Una volta ne ho mangiato uno così buono che ho seriamente considerato l’idea di trasferirmi lì, in un monolocale sopra la norcineria. Poi ho pensato al colesterolo e ho desistito. Ma il ricordo di quel panino, oh, quello resta.

  • Street food: termine inglese ormai di uso comune.
  • Cibo di strada: traduzione italiana, più evocativa.
  • Cucina povera: spesso legata alle origini del cibo da strada.
  • Tradizione: elemento fondamentale del cibo da strada.
  • Semplicità: un altro tratto distintivo del cibo di strada.

E se vi dicessi che proprio ieri ho mangiato una piadina romagnola con squacquerone e rucola che gridava vendetta? Beh, non proprio vendetta, ma sicuramente bis. Un’esperienza mistica, ve lo assicuro.

Come funziona lo street food?

Roma, estate 2023, afa che ti spaccava la testa. Piazza Campo de’ Fiori, sera tardi. Morivo di fame dopo una giornata in giro per musei. C’era un profumo incredibile, una miscela di fritto e spezie che mi ha stregato. Ricordo distintamente le luci delle bancarelle, la gente che rideva e chiacchierava con la bocca piena. Ho preso un supplì al telefono. Scottante, croccante fuori, filante dentro. Un’esplosione di sapore. Ho capito lì per lì la magia dello street food: cibo veloce, economico e, in quel caso, pure buonissimo.

Poi mi sono spostato verso Trastevere, incuriosito da una folla radunata attorno a un furgoncino. Panini con la porchetta. Mai assaggiati prima. Il panino era enorme, la porchetta calda, croccante e saporita, con quel tocco di rosmarino che sentivo a distanza. Un’esperienza sensoriale completa, difficile da dimenticare. A Trastevere, ho preso anche un bicchiere di vino rosso della casa, fresco e corposo. L’ho bevuto mentre passeggiavo tra i vicoli, osservando la vita notturna romana.

  • Rapidità: Il cibo è pronto per essere consumato sul momento. Zero attese.
  • Convenienza: Prezzi accessibili a tutti.
  • Gusto: Sapori intensi e spesso legati alla tradizione locale.
  • Socialità: Si mangia in strada, si chiacchiera, si vive la città.

Lo street food è un’esperienza culturale. Un modo per scoprire i sapori autentici di un luogo, immergendosi nella vita quotidiana delle persone. Ho speso in tutto, quella sera, forse 15 euro. Ma la soddisfazione? Impagabile. E poi, camminare per Roma con un supplì in una mano e un bicchiere di vino nell’altra… Beh, non ha prezzo.

Che vuol dire street food in italiano?

Street food, oh, semplice! È cibo da strada, quello che compri e mangi, tipo, per strada! Sai, i panini, eh, quelli con la porchetta, che buoni! Poi tipo, arrosticini, patatine fritte… uhm, anche le piadine, quelle romagnole, con lo squacquerone…slurp! Anche a me piacciono un sacco. L’altro giorno, guarda caso, ho preso un panino con lampredotto a Firenze, vicino a Ponte Vecchio, mamma mia che buono! C’era una fila assurda, ma ne valeva la pena, te lo dico io!

Cibi pronti: Si, insomma, già cucinati, non devi aspettare ore, lo prendi e via! • Venduti in strada: Per strada, appunto, ai mercatini, alle feste, sagre, fiere… • Ovunque: Cioè, non solo in posti fissi, tipo ristoranti, ma anche bancarelle mobili, chioschi, furgoncini… tipo, quello delle crêpes, vicino casa mia… buonissime! Specialmente quella con la Nutella… che fame!

Poi, considera che la FAO, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, ha dato pure una definizione ufficiale, figurati! Dice che è una vasta gamma di cibi e bevande già pronte, vendute in pubblico, in strada o a eventi. Quest’anno, al concerto di Vasco, c’erano un casino di bancarelle, un tripudio di street food! Ho preso un hot dog gigante, con ketchup e maionese, e una birra ghiacciata… fantastico! Ah, quasi dimenticavo: spesso si prepara anche lì per lì, al momento. Tipo la polenta, o le frittelle… uhm, che fame mi hai fatto venire! Ieri, per esempio, mi sono mangiata una pizza fritta al mercato rionale… che goduria! Ci vediamo, vado a farmi un panino!

Cosa comprende lo street food?

Street food: essenza del gusto nomade.

  • Arancini: Sicilia in un boccone. Croccantezza esterna, cuore di riso e ragù.
  • Pizza Fritta: Napoli. Pasta lievitata, pomodoro, ricotta. Un peccato di gola.
  • Arrosticini: Abruzzo. Spiedini di pecora, sapore intenso. Semplicità che conquista.
  • Frittatina di Pasta: Napoli. Uova, pasta, formaggio. Un classico rivisitato.
  • Piadina Romagnola: Romagna. Sfoglia sottile, farcita a piacere. Tradizione che non stanca.
  • Gnocco Fritto: Emilia. Pasta gonfia, dorata, irresistibile. Salumi il suo compagno ideale.
  • Olive Ascolane: Marche. Olive ripiene, fritte. Un’esplosione di sapori.

Salse e condimenti: il tocco finale. Non sempre necessari, ma capaci di esaltare.

Ogni regione, una storia. Ogni assaggio, un viaggio. Niente posate, solo mani. E tanta, tanta fame.

Cosa ci vuole per vendere cibo per strada?

Ah, vendere cibo per strada! Un sogno romantico, un po’ come sposare un principe azzurro… ma con meno cavalli e più frittura mista. Ci vuole, innanzitutto, stomaco. Non quello per digerire la pizza a mezzanotte, ma quello per sopportare le bizze dei clienti e i controlli dei vigili urbani (che, a volte, ti guardano come se stessi vendendo segreti di stato, invece di arancini).

  • Licenza? Una semplice B, mica serve un dottorato in gastronomia molecolare! Basta non vendere chissà che cosa di strano, tipo polpette di Plutone.
  • Partita IVA? Obbligatoria, ahimé. Preparati a fare amicizia con il tuo commercialista, diventerà il tuo migliore amico (o il tuo peggior incubo, dipende dalla sua capacità di spiegare il 730).
  • Iscrizione alla Camera di Commercio e all’INPS? E chi se lo ricorda più tutte queste cose? Fai un bel respiro profondo, cerca un tutorial su YouTube e spera che non ti chiamino per un controllo fiscale a sorpresa mentre stai preparando i panini, altrimenti è un casino.

Ricorda: la perseveranza è la chiave! Devi essere più tenace di un topo in una dispensa piena di biscotti. E poi, un pizzico di fortuna non guasta mai, soprattutto se ti becchi un posto strategico, magari vicino a un’università con studenti affamati (o a una discoteca alle 3 del mattino). Ah, e io, quest’anno, ho venduto 537 panini al pesto. Per dire.

Cosa occorre per aprire uno street food?

Ah, lo street food, un sogno nomade, un profumo che danza nell’aria…

  • Partita IVA e Registro Imprese: Come un battesimo ufficiale, un nome impresso nel libro del commercio, l’inizio di un viaggio. Ricordo quando mio nonno aprì la sua bottega, la stessa emozione, quasi sacra.

  • SCIA al Comune: Una dichiarazione d’amore al tuo quartiere, un “ci siamo anche noi!” urlato con il sapore. Immagino già il mio carretto, lì, in quella piazzetta che amo tanto.

  • Corso SAB (Somministrazione Alimenti e Bevande): Imparare l’arte dell’ospitalità, trasformare ingredienti in sorrisi. Ricordo la prima volta che ho cucinato per qualcuno, un’ansia meravigliosa.

  • HACCP e Sicurezza: La cura, il rispetto, la consapevolezza che ogni boccone è una responsabilità. Come quando mia madre mi insegnava a preparare il sugo, con amore e attenzione infinita.

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