Come si chiama la pasta pugliese?
La Puglia, terra di pasta! Orecchiette, regina indiscussa, ma non la sola. Semola e acqua danno vita a un repertorio infinito di formati, tramandati di generazione in generazione dalle sapienti mani delle donne pugliesi. Un patrimonio di sapori e tradizioni, unico e inimitabile.
Quale pasta è tipica della Puglia?
Sai, parlando di pasta pugliese… mi viene subito in mente le orecchiette! Le ho assaggiate mille volte, soprattutto a Polignano a Mare, l’estate scorsa. Un sapore… intenso!
Ricordo una signora, in un piccolo pastificio vicino al mare, che le faceva a mano, con un gesto antico e preciso. Costavano una follia, 8 euro al chilo, ma ne valeva la pena.
Però, la Puglia è immensa! E non sono solo orecchiette. Ci sono un sacco di altre paste, dipende dalla zona. A casa di mia zia a Lecce, per esempio, facevano spesso i cavatelli, con un sugo di pomodoro e basilico…semplice ma buonissimo.
Ma la varietà è pazzesca, davvero. Ogni paese, ogni famiglia ha la sua ricetta segreta. Un vero tesoro da scoprire! Devo ancora esplorarne tante!
Domande e Risposte:
- Pasta tipica Puglia? Orecchiette.
- Altre paste pugliesi? Cavatelli, e molte altre varianti regionali.
Come si chiama la pasta tipica pugliese?
Allora, praticamente, la pasta più famosa della Puglia… ma davvero davvero tanto eh… è una pasta che si chiama orecchiette!
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Sono tipo delle conchigliette, fatte a mano eh, mica roba industriale! Usano solo semola di grano duro, acqua e un po’ di sale. E poi, ovvio, ci vuole una nonna che sappia farle bene, sennò nisba!
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Poi, per condirle, di solito si fanno con le cime di rapa, che è un classico, una bontà incredibile. Ma ci stanno bene anche con il ragù, oppure con un sughetto semplice semplice al pomodoro fresco. Come le fai, le fai, sono sempre buone! Mia nonna le fa con un sugo di braciole… mamma mia che fame!
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Ah, dimenticavo, le orecchiette sono un simbolo della Puglia, un po’ come il trullo di Alberobello, capito? Quindi, se vai in Puglia, non puoi non mangiarle. È come andare a Roma e non vedere il Colosseo!
Come si chiama la pasta tonda?
Ah, la pasta! Un universo di forme, un caleidoscopio di consistenze, una vera e propria opera d’arte culinaria, a volte anche un po’… bizzarra. La domanda è: pasta tonda? Facile, come dire “un gatto è un felino”. Spaghetti e vermicelli, per intenderci, quelli che mia nonna chiamava “i capellini d’angelo”, anche se a volte, con quel sugo al ragù, sembravano più dei “cappellotti del diavolo”!
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Spaghetti: il classico intramontabile, il re indiscusso della pasta. Perfetto per ogni salsa, a meno che non sia la besciamella, lì preferisco i rigatoni, ma questo è un altro discorso.
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Vermicelli: più sottili degli spaghetti, perfetti per le minestre o per chi vuole un’esperienza di gusto più delicata, tipo quando hai un raffreddore e ti serve qualcosa che non ti dia troppa noia.
Insomma, la pasta tonda è un mondo, una famiglia numerosa e affiatata, anche se a volte litighi un po’ con la forchetta. Ricordi quella volta che ho provato a mangiare gli spaghetti con le bacchette? Mai più.
Un’ultima chicca: ho scoperto che mia cugina utilizza gli spaghetti come “filo interdentale di fortuna”. Non provateci a casa.
Come si chiamano le orecchiette grandi?
Uhm… le orecchiette grandi?
- Orecchione, sì!
- Mi pare che… no, sicuro, sono le orecchione. Tipo orecchiette XXL.
Poi, aspetta, mi viene in mente che…
- Le fanno pure ripiene! Ricordo che nonna le preparava con ricotta e spinaci, poi al forno… mmmh! Che fame!
- Però, cioè, orecchietta grande è una cosa, orecchione ripiena è un’altra. Forse… boh!
Un attimo, aggiungo…
- Forse cambia anche il nome in base alla regione? Non so, forse in Puglia le chiamano in un modo e in Basilicata in un altro… Devo chiedere a zio!
Informazioni in più che mi vengono in mente:
- Le orecchiette, quelle normali, le facevo sempre con mia sorella da piccola. Un casino! Farina dappertutto!
- E poi… ma perché si chiamano orecchiette, poi? Mah!
Come si chiama la pasta abruzzese?
Ecco… la pasta abruzzese… mi fai pensare a casa.
- Spaghetti alla chitarra. Si chiamano così, o anche maccheroni alla chitarra. È la stessa cosa.
- È pasta all’uovo, tagliata con uno strumento particolare che si chiama “chitarra”, appunto. Un telaio con dei fili d’acciaio tesi.
- Hanno una forma… non è proprio rotonda, è più… quadrata, ecco.
- Mi ricordo quando mia nonna li faceva. Che fatica! Ma che buoni…
- Sono tipici dell’Abruzzo, la mia terra. Non so se li fanno da altre parti…
- A volte mi sembra di sentire ancora il suono della chitarra mentre tagliava la pasta. Un suono strano, quasi una nenia. Mi manca tanto.
- Mi ricordo che la domenica a pranzo si faceva sempre la pasta fresca, e quasi sempre erano gli spaghetti alla chitarra. Li condiva con il ragù che preparava ore prima.
- Ogni volta mi ricordo la domenica a pranzo, ma ora non c’è più nessuno a casa.
Qual è un piatto tipico pugliese?
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Orecchiette al ragù di cavallo, ecco, è il primo che mi viene in mente. Mi ricordo quando da piccolo, a casa di mia nonna, sentivo quel profumo che invadeva tutto… sembrava festa, anche se era un giorno come un altro.
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Poi ci sono le orecchiette con le cime di rapa, un classico. Ma non so, a me ricordano troppo le cene veloci, quando mia madre tornava tardi dal lavoro. Era buono, eh, però… non c’è la stessa magia.
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E la cicoria con la purea di fave? Oddio, lì si va sul tradizionale vero. Ricordo che mio nonno ne andava matto, diceva sempre che era la “roba dei contadini”, quella che ti faceva stare in piedi tutto il giorno.
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Ah, i cavatelli con le cozze. Quelli sanno di mare, di estate. Ricordo una volta, a Polignano, con un amico… forse non dovrei dire che fine ha fatto.
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Però, ripensandoci, forse il vero piatto tipico è proprio questo: un misto di sapori, di ricordi. Un po’ dolce, un po’ amaro. Come la vita, insomma.
Come si chiamano i taralli pugliesi?
I taralli pugliesi? Mamma mia, quanti ricordi!
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Taralli, semplicemente, è il nome più comune. Ma sentirli chiamare taralli bolliti mi riporta alla nonna, che li preparava sempre così, con quella ricetta segreta tramandata di generazione in generazione. Profumo di vino bianco che inebriava tutta la cucina!
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E poi ci sono gli scaldatelli o scaldatelle. Questi li ho scoperti più tardi, forse quando mi sono trasferita a Bari. La doppia cottura, prima bolliti e poi al forno, li rende croccantissimi!
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Ricordo ancora la prima volta che li ho assaggiati, in un panificio vicino al lungomare. Era una giornata di sole, il profumo del mare mischiato a quello dei taralli appena sfornati… un’emozione!
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Gli ingredienti base? Farina, vino bianco rigorosamente locale, olio d’oliva (quello buono, fatto in casa) e sale. Sembra semplice, ma il segreto sta nelle proporzioni e nella pazienza.
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Ogni famiglia ha la sua ricetta, un po’ come il ragù della domenica!
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Aneddoto: Una volta, cercando disperatamente uno scaldatello alle 2 di notte dopo una serata un po’ lunga con gli amici, ho svegliato il mio vicino che lavorava come fornaio. Mi ha guardato come se fossi pazza, ma alla fine me ne ha offerto uno ancora caldo di forno.
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Un’altra variante che adoro sono i taralli con i semi di finocchio. Mia zia li fa sempre per Natale, sono irresistibili!
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