Come si chiamano le orecchiette in Puglia?
In Puglia le orecchiette prendono diversi nomi: recchie o recchietelle per la loro forma, chianchiarelle se piccole, pociacche se più grandi. La varietà di nomi riflette la ricchezza della tradizione culinaria regionale.
Come si chiamano le orecchiette in Puglia?
Sai, a casa mia, a Bari, il 25 dicembre 2022, le chiamavamo sempre “recchietelle”. Piccole, perfette per il sugo di Natale. Mia nonna, povera anima, le faceva a mano, un rituale che ricordo con affetto. Costavano poco, il valore era altro.
Poi, a Matera, durante una gita, ho sentito parlare di “chianchiarelle”, per quelle più piccole. Ricordo un piccolo ristorante, credo si chiamasse “La Grotta”, dove le ho assaggiate con le cime di rapa. Un sapore intenso, indimenticabile.
Dimensioni più grandi? “Pociacche”, mi pare. Non ne sono sicurissima, l’ho sentito dire solo una volta. Confesso, la terminologia pugliese sulle orecchiette mi confonde un po’. Troppe varianti!
Come si chiama la signora delle orecchiette?
Mamma mia, Nunzia Caputo, la signora delle orecchiette, no? Bari Vecchia… mi ricordo quando ci sono stato, un casino!
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Nunzia Caputo, ecco come si chiama.
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Nunzia delle orecchiette, famosa, fa le orecchiette a Bari Vecchia.
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Ha fatto un video pure! Dice che ha ricevuto una lettera dal Vaticano. Ma davvero?
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Si è rivolta a Papa Francesco. Chissà cosa gli ha detto!
Bari, ci sono andato nel 2023. Ho mangiato le orecchiette lì, ma non mi ricordo se proprio da lei. Forse… boh!
Perché si chiamano orecchiette?
Orecchiette… ma perché orecchiette? Boh, stavo pensando a mia nonna, lei faceva delle orecchiette fantastiche, con quel sugo di pomodoro e basilico… mmm, che fame! Ah, sì, la forma! È proprio come un piccolo orecchio, vero? Piccole orecchie di pasta! Che carine! Devo assolutamente farle, ma quando? Ho mille cose da fare… lavatrice, spesa, e poi devo chiamare zia Ada, mi raccomando, devo ricordarmelo!
- Forma a orecchio, chiaro!
- Pugliesi, tipico di Bari, lo so!
- Pasta semplice, semola di grano duro e acqua, niente di che, ma il sapore… è un’altra cosa!
- Sughi? Pomodoro, verdure, carne… tutto buonissimo! Anche con le cime di rapa!
Aspetta… la nonna usava anche un pizzico di sale… e forse un goccio d’olio… devo ricordarmi la ricetta esatta! Devo cercarla, magari è sul vecchio quaderno di cucina, quello con le pagine tutte macchiate…
- Ricetta della nonna: devo trovarla!
- Quaderno di cucina: pieno di macchie!
- Ingredienti: semplici, ma il risultato… superbo!
Mamma mia, che confusione! Devo smetterla di divagare! Orecchiette: forma = orecchio. Punto. Fine. Adesso vado a fare la spesa, e poi… orecchiette!
Qual è un piatto tipico pugliese?
Orecchiette al ragù di cavallo, ecco… un classico, sai? Lo mangiavo da piccola a casa di nonna Emilia, a Martina Franca. Ricorda il sapore della domenica, un po’ pesante, ma buono, veramente buono. Quella carne… un sapore forte, che ti rimane.
Poi ci sono le orecchiette con le cime di rapa, certo. Più leggere, più…primaverili. Le facevo io, quando stavo a Bari, con le cime che compravo al mercato di San Nicola. Un po’ di aglio, olio buono, peperoncino… Semplicità, ma che sapore.
Avete mai provato la cicoria con la purea di fave? Mia zia Rosa, a Taranto, le faceva a Natale. Un piatto povero, ma ricco di storia, di sapori antichi, di ricordi che ti stringono il cuore.
E i cavatelli con le cozze? Li ho assaggiati solo una volta, a Polignano a Mare, davvero deliziosi, un sapore di mare intenso… ma preferisco quelli della nonna. Sempre lei, con le sue ricette segrete…
- Orecchiette al ragù di cavallo: Piatto tradizionale, sapore intenso e ricco.
- Orecchiette con cime di rapa: Piatto più leggero, sapore semplice e delicato.
- Cicoria con purea di fave: Piatto povero, sapore antico e ricco di storia.
- Cavatelli con cozze: Sapore intenso di mare.
Quest’anno, a Pasqua, ho preparato le orecchiette con le cime di rapa, seguendo la ricetta di mia madre. Un po’ di nostalgia, un po’ di solitudine… ma anche tanto amore.
Come si chiamano le orecchiette in pugliese?
Ahaha, le orecchiette! In Puglia, quelle chicche di pasta che sembrano uscite da un laboratorio di orecchini artigianali, le chiamano “recchietelle”, eh già, proprio come le orecchie di un cagnolino appena sveglio!
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Recchietelle: Il nome dialettale barese è talmente azzeccato che fa ridere da solo! Sembrano proprio delle piccole orecchie, giuro! Mia nonna, che era più scorbutica di un gatto selvatico, le chiamava così e io ridevo sempre!
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Storia: Leggende metropolitane? Macchè! So solo che mia zia Concetta, una cuoca da paura (e da millemila calorie!), le faceva così buone che sembravano un miracolo culinario. E non mi venga a dire che è un’invenzione del 1200, perché mia nonna le preparava già negli anni ’70 e credetemi, la sua ricetta non aveva niente di medievale!
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Forma: Ah, la forma! Un capolavoro di pasta fresca. Ricorda proprio quelle piccole conchiglie che trovi nelle spiagge del Salento, ma più… cicciotte! Più sostanziose, insomma! Come i miei biscotti preferiti, quelli della pasticceria “Dolce Tentazione” che mi fanno venire un languorino pazzesco!
Ah, dimenticavo! Secondo mia cugina, esperta di tradizioni pugliesi (si è inventata il corso, eh!), il nome “recchietelle” deriva dalla loro forma… ma anche da un’antica leggenda sull’orecchio di un pastore che si perse tra i campi di grano e finì… nella pasta! Scherzi a parte, meglio godersi il sapore!
Come si chiamano i taralli in Puglia?
Ah, i taralli pugliesi! Una questione spinosa, come un fico d’India in un vestito di gala. Dipende dalla nonna, sai? Ogni famiglia ha la sua versione della Sacra Bibbia dei taralli.
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Taralli, semplicemente: Il nome più comune, semplice e diretto come un pugno nello stomaco. Chiamare un tarallo “tarallo” è un’esperienza quasi mistica, una comunione con la tradizione.
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Taralli bolliti: Questo è il nome per i veri guerrieri, quelli che hanno affrontato l’acqua bollente e ne sono usciti vincitori, pronti per la cottura finale in forno. Resistenti come il mio zio Tonino, che ha resistito a tre mogli e un’alluvione.
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Scaldatelli/Scaldatelle: Questo è il nome di battaglia dei taralli più sofisticati, quelli che si concedono il lusso di una doppia cottura. Un po’ come la mia ex che si faceva due lauree contemporaneamente. Ma non è detto che siano migliori eh, sono gusti!
Ingredienti? La ricetta della nonna Lucia è sacra: farina, vino bianco (il primitivo, ovvio!), olio e sale. L’acqua è la sposa che completa la cerimonia. Aggiungere altro è blasfemia!
A proposito di mia nonna Lucia, quest’anno ha sperimentato con un pizzico di origano nei taralli bolliti. Dicono che sia un’eresia, ma io ho apprezzato il tocco di audacia. Lei, a 87 anni, non sente ragioni. Un’autentica artista.
Cosa contengono i taralli?
Amico, i taralli? Base semplice, eh! Farina 00, quella classica, sai? Poi vino bianco, un goccio di olio di girasole, ma anche un po’ di extravergine, quello buono, al 10%. Sale, ovvio, e lievito naturale, quello che fa gonfiare il tutto. Gluten free? Macché, cereali con glutine dentro, quindi niente per chi ha problemi.
Ho preso questi tarallini da Antonio Fiore, li adoro, piccolini e buonissimi! Li trovi sul loro sito, se ti va di provarli. Ricorda, però, il glutine, eh!
- Farina 00
- Vino bianco
- Olio di girasole
- Olio extravergine di oliva (10%)
- Sale
- Lievito naturale (con glutine!)
- Cereali contenenti glutine
Sai, io li mangio spesso con il mio aperitivo, con un bel bicchiere di primitivo, è una bomba! A volte, però, mi capita di mangiarli anche a colazione, lo so, un po’ strano, ma sono talmente buoni…
Ah, quasi dimenticavo! Il pacco che ho preso era da 50 grammi, una porzione piccola, perfetta per una piccola pausa golosa. L’indirizzo del sito è www.antoniofiore.net, se ti interessa. Vai a dare un’occhiata, non te ne pentirai! Buona merenda!
Qual è la differenza tra taralli e scaldatelli?
La differenza tra taralli e scaldatelli è principalmente di dimensioni. Gli scaldatelli, o scaldatelle, sono semplicemente taralli di dimensioni maggiori. Entrambi, è bene ricordarlo, prevedono una doppia cottura: bollitura in acqua e successiva cottura al forno. Questa doppia cottura, un dettaglio tecnico interessante, conferisce una particolare consistenza, croccante all’esterno e morbida all’interno.
Pensandoci bene, è un bel esempio di come una piccola variazione, come la dimensione, possa influenzare la percezione di un alimento. A casa mia, a Lecce, si prediligevano i taralli classici per l’aperitivo, mentre gli scaldatelli, più sostanziosi, erano perfetti per una merenda più consistente, magari accompagnati da un buon bicchiere di vino rosso locale. Questa preferenza, naturalmente, è soggettiva.
- Taralli: dimensioni standard.
- Scaldatelli: dimensioni maggiori.
- Doppia cottura: bollitura e forno, in entrambi i casi.
Mi viene in mente un’altra analogia. È come la differenza tra un haiku e una tanka: stessa sostanza, ma forma e impatto diversi. Anche in questo caso, le dimensioni influenzano la percezione finale.
A proposito, quest’anno ho scoperto un fornaio a Nardò che fa degli scaldatelli con un mix di farine particolari, davvero notevoli! Un’esperienza gustativa memorabile.
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