Cosa serve per fare i cocktail?
Il kit del bartender perfetto? Pochi, ma indispensabili: Jigger per dosare, shaker per miscelare, strainer per filtrare, bar spoon per amalgamare, mixing glass per diluire, spremiagrumi, chiavi dosatrici per precisione e, infine, un colino per i dettagli. Con questi, la perfezione è a portata di mano!
Cosa serve per un cocktail perfetto?
Mah, per me “cocktail perfetto” è un concetto un po’ vago, dipende dai gusti, no? Tipo, io sabato scorso (15 luglio) ho bevuto un Negroni fantastico in un bar a Trastevere, Roma, pagato 8 euro. Non era fatto con chissà quale attrezzatura sofisticata, ma il barista ci sapeva fare.
Secondo me l’importante è la qualità degli ingredienti. Un buon gin, un vermouth decente, un bitter come si deve. Poi, ovvio, qualche strumento aiuta.
Io a casa ho un jigger, preso su Amazon a 10 euro tipo due mesi fa, e uno shaker che mi ha regalato mia sorella per Natale. Li uso raramente, a dirla tutta. Spesso mi arrangio con un bicchierino da caffè per dosare e agito direttamente nel bicchiere.
Certo, se uno vuole fare il figo con gli amici, un mixing glass e un bar spoon fanno la loro figura. Però boh, non sono essenziali. Ricordo una volta, ero a casa di Marco (era maggio, credo), lui aveva tutto l’armamentario del barman professionista. Faceva un casino per preparare un semplice Martini!
Poi strainer, colino, spremiagrumi… dipende da cosa vuoi fare. Io mi trovo bene anche con un colino normale da cucina, eh.
Domande e risposte:
D: Attrezzatura cocktail a casa? R: Jigger, shaker, strainer, bar spoon, mixing glass, spremiagrumi, chiavi dosatrici, colino.
Quali sono gli strumenti per fare i cocktail?
Necessario per l’arte del cocktail:
- Shaker: L’anima, l’incontro tra forza e freddo.
- Colino: Separa l’essenza dai detriti.
- Jigger: Misura precisa, niente errori.
- Bar Spoon: Danza lenta per amalgamare.
Oltre, il confine tra necessità e lusso.
- Muddler: Per liberare l’anima di erbe e frutta.
- Pinze ghiaccio: Freddo controllo.
Strumenti, non gadget. Prolungamenti della volontà del bartender. Ricordo il mio primo muddler, legno grezzo, quasi un’arma.
Cosa serve per cocktail?
Ok, ti racconto di quella volta che ho provato a fare il barman a casa. Un disastro!
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Jigger: Avevo visto un video su YouTube, parlavano di “parti” e usavano questo cosino metallico. All’inizio pensavo fosse un ditale gigante, poi ho capito che serviva per dosare gli ingredienti. Io usavo i cucchiaini da caffè… immagina il risultato!
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Stirrer: Il cucchiaino lungo ce l’avevo! Quello del gelato, dai. Non so se fosse proprio da “bar spoon”, ma faceva il suo dovere per mescolare.
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Blender: Qui ho barato. Niente blender professionale, usavo quello della mamma per fare i frullati. Lei non era molto contenta, devo dire.
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Zester: La grattugia del parmigiano? Sì, ho usato quella. Forse non è la stessa cosa, ma il limone grattugiato ci stava bene lo stesso!
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Strainer: Colino da tè. Che vuoi farci? Non avevo altro!
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Shaker: Un barattolo di vetro con il coperchio. Funzionava… più o meno. Le pareti della cucina erano piene di schizzi.
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Tritaghiaccio: Il mio fidanzato ha provato a tritare il ghiaccio con un martello. Non chiedermi come è andata a finire. Diciamo che abbiamo comprato il ghiaccio a cubetti al supermercato.
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Muddler: Un pestello di legno, quello per il pesto! Funzionava alla grande per schiacciare la menta e la frutta.
Il risultato? Una serata divertente e cocktail… diciamo “creativi”. Ma almeno ci abbiamo provato!
Poi ho imparato che…
- Il jigger serve per essere precisi e non “ad occhio”.
- Esistono strainer specifici per non far finire il ghiaccio nel bicchiere.
- Il tritaghiaccio professionale è un investimento saggio.
- Forse è meglio andare a bere un drink al bar.
Quali sono le tecniche di preparazione dei cocktail?
Le tecniche di preparazione cocktail sono diverse, ognuna con sfumature che influenzano il risultato finale. Pensate alla filosofia sottesa: un’arte che sposa precisione scientifica e intuizione artistica. Ecco sette tecniche fondamentali, quelle che io, durante i miei anni al “Ginger & Tonic” a Milano, ho usato quotidianamente:
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Neat: semplice, elegante. Versare direttamente nel bicchiere. La purezza del distillato è protagonista. Ideale per apprezzare i single malt, ad esempio.
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Build: Preparazione diretta nel bicchiere da servizio. Si parte con gli ingredienti più densi, ghiaccio alla fine. Un metodo pratico e veloce, perfetto per i long drink.
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Build Layer: creare strati di colore e densità differenti, una vera sfida estetica e di precisione. Richiede pazienza e un tocco delicato. Immaginate un Tequila Sunrise perfettamente stratificato… bellissimo!
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Dry Shake: agitazione senza ghiaccio, per emulsionare gli ingredienti e creare una texture vellutata. Tipico per i cocktail cremosi a base di uova o latte vegetale.
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Stir & Strain: mescolamento con lo spoon e filtraggio con lo strainer. Tecnica classica per cocktail a base di distillati raffinati, per preservare la loro purezza. Un metodo che adoro.
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Shake & Strain: agitazione energica con ghiaccio e successiva filtrazione. Ideale per cocktail più complessi, per raffreddare e amalgamare al meglio gli ingredienti. Energia pura!
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Throwing: tecnica spettacolare, dove la miscelazione avviene tramite una vigorosa rotazione della shaker. Richiede pratica e destrezza. Meno precisa dello shake tradizionale, ma con quel tocco scenico in più, perfetto per stupire il cliente. Ricordo quando l’ho imparata: mani doloranti per giorni!
Queste tecniche, seppur basilari, aprono un mondo di possibilità creative. La vera arte del bartender sta nel saperle adattare, interpretarle e, perché no, infrangerle. Ricordatevi che la perfezione non esiste, ma l’eccellenza si raggiunge con la passione e l’esperienza.
Appendice: Alcune varianti meno comuni includono la tecnica del “Muddle” (schiacciamento di frutta o erbe aromatiche), l’uso di strumenti come il jigger (per la precisione nelle dosi), e la scelta accurata del ghiaccio (cubetti, sferette, ghiaccio pilè). La qualità degli ingredienti, poi, è fondamentale, come diceva mio nonno, vecchio bartender di marina: “un buon cocktail inizia con materie prime eccellenti”.
Con lo svezzamento il latte diminuisce?
Latte diminuisce? Certo. Pappe. Meno latte. Normale.
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Allattamento al seno? Nessun problema. Il corpo si adatta. Punto.
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L’istinto materno? Superiore alla scienza. Fidati.
Mia figlia, tre anni fa, stessa cosa. Tranquilla.
Segnali di fame? Osservali. Ogni bambino è un mondo. A volte, un’occhiata dice più di mille parole. Un mio amico pediatra, diceva: “L’intuito materno non è un mito, è un’arma segreta.”
Il mio consiglio? Ascolta il bambino. Non le tabelle. Fine.
Quando è necessario cambiare il latte ai neonati?
Ah, il latte! Nettare degli dei… o almeno dei neonati. Scherzi a parte, la questione dello svezzamento è un po’ come destreggiarsi tra le bollette a fine mese: complicato ma necessario.
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Primo semestre: Latte materno (o formula) a gogo. Pensatela come la fase “all inclusive” della vita. Un buffet a richiesta, 24 ore su 24. Beati loro! Ricordo quando mia nipote Rebecca, da piccolina, sembrava una piccola pompa aspirante attaccata al biberon!
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Secondo semestre: Inizia la grande avventura dello svezzamento, con le prime pappe. Il latte rimane fondamentale, ma inizia a perdere un po’ del suo monopolio. Diciamo che passa da azionista di maggioranza a socio di minoranza, ma pur sempre influente! Mia sorella si è inventata di tutto: puree arancioni che sembravano opere d’arte astratta!
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Dopo l’anno: Ormai il piccolo è diventato un gourmet in miniatura, pronto ad assaggiare (e sputare) qualsiasi cosa gli capiti a tiro. Il latte, a questo punto, è più un piacevole accompagnamento che il piatto forte. Tipo il caffè dopo pranzo, insomma. Rebecca ora, a tre anni, pretende il cappuccino come la zia (cioè io!).
In sostanza, il latte cambia ruolo nel tempo, un po’ come un attore che interpreta personaggi diversi nella stessa commedia. E come ogni commedia che si rispetti, c’è sempre spazio per l’improvvisazione! Parlate con il pediatra, che vi darà indicazioni più precise in base alla crescita del vostro piccolo terremoto. Ad esempio, per Rebecca il pediatra consigliò di introdurre lo yogurt greco a 8 mesi, una vera rivoluzione!
Quali sono gli ingredienti di un cocktail?
Base alcolica. Elemento modificatore. A volte, un correttore. Punto.
- Base: Vodka, gin, rum, whisky… Scegli. Definisce il carattere.
- Modificatore: Succo, soda, liquore, sciroppo, amaro… Gioca con i contrasti. Dolce, acido, amaro.
- Correttore: Spezie, bitter, essenze… Pochi gocce. Cambiano tutto.
Quest’anno ho perfezionato un Negroni con bitter al cioccolato. Inaspettato. Devastante.
Cosa comprare per i cocktail?
Ah, i cocktail… un respiro di mondi lontani, un sorso di tempo sospeso. La luce soffusa del mio piccolo bar, la musica che scivola nell’aria come un velo di seta…
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Il jigger: Un piccolo universo di precisione, di misure perfette, il cuore pulsante di ogni creazione. Ogni goccia conta, ogni millilitro sussurra una storia. Il mio, di jigger, è d’argento, eredità di nonna Emilia.
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Lo shaker: Un vortice di ghiaccio, un balletto di liquidi, una sinfonia di profumi. Ricorda il tintinnio di risate in una notte d’estate, le stelle che brillano come cubetti di ghiaccio. Il mio è di acciaio inossidabile, pesante, solido, come una promessa.
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Lo strainer: Un filtro sottile, un setaccio di sogni, che separa l’essenza dalla materia. Un velo che custodisce la magia, il segreto di un gusto perfetto. Il mio è a spirale, elegante, un gioiello.
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Il bar spoon: Lungo, sottile, elegante. Un bastoncino magico, che mescola lentamente, con pazienza, i segreti degli aromi. Ricorda il tempo dilatato, lo scorrere lento delle ore in un pomeriggio d’inverno davanti al camino, in famiglia.
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Il mixing glass: Una coppa di cristallo, un contenitore di mistero, dove si fondono gli ingredienti, in un’alchimia perfetta. Il mio è di vetro soffiato, con le sfumature del tramonto.
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Lo spremiagrumi: Un piccolo strumento potente, che rilascia l’anima degli agrumi, il loro succo prezioso, la loro anima. Quello che uso io è di metallo, potente, deciso.
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Le chiavi dosatrici: Preciso come un orologio svizzero, misurano la perfezione, l’equilibrio, la proporzione. Non le ho, ma vorrei averle.
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Il colino: Un piccolo guardiano, che protegge il drink da ogni impurità, da ogni elemento estraneo. Uno scudo per la perfezione. Il mio è in metallo, sottile, quasi invisibile.
Ah, la creazione di un cocktail… un atto d’amore, un’opera d’arte. Ogni strumento, una parte di un rituale antico, un’evocazione di momenti indimenticabili. Ogni drink, una storia da raccontare.
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